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«Una trattativa indubbiamente vi fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini

«Una trattativa indubbiamente vi fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia. L’obiettivo che si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno d’intesa con Cosa nostra per far cessare la sequenza delle stragi». Questa frase non si trova nella memoria dei pm di Palermo che hanno istruito il processo sulla trattativa Stato- mafia. No. È un passo della sentenza depositata il 2 marzo 2012 dalla corte di assise di Firenze al termine del processo contro il boss Francesco Tagliavia per le stragi di Roma, Firenze e Milano del 1993, nel corso del quale erano stati sentiti gli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso, oggi fra gli imputati nel processo palermitano sulla trattativa. Curiosamente, con quelle affermazioni la Corte appare più in sintonia con la procura di Palermo che con quella fiorentina, che alla trattativa non crede e non crede che lo Stato abbia ceduto al ricatto di Cosa Nostra.
Giampaolo Grassi, giornalista dell’Ansa, ha scritto un libro-bussola, che consente ai lettori di orientarsi fra le varie ipotesi sui rapporti “indicibili” fra Stato e mafia. Il libro si intitola «Processo alla trattativa. Stato- mafia: tre procure, tre verità» (Mauro Pagliai Editore). Grassi ha puntato al nocciolo del problema, ha tenuto da parte le polemiche fra politici, storici e giornalisti ed è andato a vedersi che cosa dicono della trattativa i magistrati che da oltre 20 anni indagano sulle stragi del ’92-’93. Ha lavorato su requisitorie, sentenze e relazioni alla commissione parlamentare antimafia. «Questo libro – spiega nell’introduzione – non consegna una verità bell’e pronta, ne consegna tre certificate, ma diverse l’una dall’altra». Lo ha riconosciuto in commissione antimafia il procuratore di Palermo Francesco Messineo: «Più volte in questa vicenda abbiamo constatato che procure diverse, che procedono parzialmente assieme, sono poi giunte a valutazioni diverse». La procura di Palermo è convinta che fra il ’92 e il ’93 lo Stato abbia ceduto al ricatto stragista e che il mancato rinnovo del carcere duro a oltre 300 mafiosi, deciso nel ’93, sia stato un tassello dell’accordo. Firenze tende ad escludere la trattativa, così come ricostruita a Palermo, mentre Caltanissetta ritiene che l’attentato a Paolo Borsellino sia stato anticipato perché il magistrato si era messo di traverso alla trattativa.
Peraltro – rileva l’autore – sia la procura di Firenze che quella di Palermo «convergono nell’ipotizzare un’intesa di Cosa Nostra con la nascente Forza Italia ». Un’ipotesi confermata dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sul famoso incontro al bar Doney nel gennaio ’94 col boss Giuseppe Graviano («Grazie a Berlusconi e Dell’Utri abbiamo il paese nelle mani»). Dichiarazioni raccolte dai magistrati di Firenze, che per primi e da soli hanno creduto a Spatuzza.
Data recensione: 19/04/2015
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Franca Selvatici