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La Mostra che, a cura di Nadia Marchioni, è stata allestita negli spazi del Museo Marino Marini - visibile sino al 25 marzo - può suscitare emozioni inattese. ‘‘La Grande Guerra degli

La Mostra che, a cura di Nadia Marchioni, è stata allestita negli spazi del Museo Marino Marini - visibile sino al 25 marzo - può suscitare emozioni inattese. ‘‘La Grande Guerra degli artisti - Propaganda e iconografia bellica in Italia negli anni della prima guerra mondiale’’ dona più di quanto promette, complice certamente il suggestivo ambiente sotterraneo che ospita le centosessantasei opere selezionate. Il fascino del contenitore si riverbera sul contenuto, e la remota bellezza delle creazioni esposte rimanda al singolare luogo che l’ospita, la chiesa altomedievale di San Pancrazio da tempo sconsacrata. Le impressioni si mischiano e confondono. Allorché il visitatore lascia il piano terra dell’ex-luogo sacro - ora rianimato e come vigilato dai misteriosi cavalieri bronzei del Marini (egli pure artista celebrante la ‘‘Grande Guerra’’) - e si inoltra nella sottostante cripta, sapientemente illuminata, si imbatte nelle esplosioni e nei turbinii di colori, linee, rumori, parole in libertà della prima stazione dell’itinerario espositivo intitolata a ‘‘i futuristi e l’intervento’’. Segni e figure magmatiche che rimandano a un tempo spirituale non meno remoto delle volte e dei corridoi dell’antico luogo sacro. Non novant’anni paiono gli anni che ci separano dalla Grande Guerra e dalla sensibilità dei suoi artisti, ma un tempo, per così dire, qualitativamente diverso. Questi Baldessari (la ben nota manifestazione interventistica in Galleria a Milano), Carrà (Festa patriottica e l’auspicata Guerra navale sull’Adriatico), Depero (Paesaggio di rumori di guerra), Marinetti, Severini (La trincea), Sironi (ritraente soldati a riposo o armegianti intorno al cannone) e Balla (Colpo di fucile domenicale) possono ben dirsi appartenenti al tempo del ‘‘liberato sogno’’, come suggerisce Umberto Sereni nel saggio che leggiamo nel sostanzioso catalogo della mostra realizzato da Pagliai Polistampa: di un sogno o mito o ideale più che trapassato, respinto o rimosso, frutto di entusiasmi, esaltazioni, attese, follie, progetti difficilmente comprensibili oggi e, ad ogni modo, del tutto impartecipabili da un tempo che vive con i piedi ben piantati per terra, positivo, attento come mai prima nella storia dell’uomo all’Utile più concreto, e nemico, quanto meno a parole, di ogni guera. Il ‘‘sogno’’ neospiritualistico delle avanguardie artistiche si accese d’improvviso all’alba del secoo e si spense inesorabilmente dopo pochi decenni sotto le macerie della seconda guerra mondiale. Una temperie davvero singolare non soltanto italiana. Se da noi quella stagione artistica prese corpo innanzitutto a Firenze, con le riviste «Leonardo», «Quartiere Latino», «Lacerba», a Milano con il milanese «Manifesto del futurismo», in Versilia e vicinanze con i cultori del Prometeo liberato di Shelley (come documenta appunto Sereni), fuori d’Italia - per fare un solo grande esempio - lo vediamo espresso in poetica e annuncio di nuova vita già nel 1912 dal russo Kandinsky, il pittore ‘‘astratto’’ amico di Marinetti, con il suo prezioso Lo spirituale nell’arte. E, certamente, da lontano, anche la filosofia concorse al nuovo clima ‘‘artecratico’’ (come si volle anche dire allora): basti pensare a Nietzsche, a James, a Bergson e, in Italia, allo stesso Gentile con il suo sovvertitore ‘‘atto puro’’. Fu un insieme di pensieri, pulsioni, visioni, speranze che oggi a noi pare distante dalla sensibilità corrente non meno dei fantasmi mistici aleggianti nella povera ‘‘dismessa’’ chiesa di San Pancrazio. Davvero molti gli artisti (in buona parte ‘‘interventisti intervenuti’’) che da quell’alieno passato tornano a noi con l’affascinante e imbarazzante mostra fiorentina. Nela seconda tappa, intitolata ‘‘iconografia bellica’’, troviamo opere di Spadini, Chini (il grande ‘‘olio’’ delle vedove in lutto, già del 1915) di Brass, Sartorio, Licini, Barbieri, Viani (diverse xilografie e i due olii ‘‘la guerra’’ - donna in nero con falce sotto cielo rosso sangue - e ‘‘la ritirata’’, entrambi del ’17-18), Balduini, Mantelli, Caselli, Morando, Discovolo, Nomellini (tra l’altro presente con lo scenografico assalto Alle porte d’Italia del 1918).
È certo evidente che il primo entusiasmo ditirambico scontrandosi con la durissima e varia realtà della lunga guerra lascia il posto anche a visioni di crudele realismo, di sofferenza, di apparente smarrimento.
Difficile stabilire se e fino a che punto sia da vedersi in questo o quell’artista, già allegro auspicatore di guerra ma poi anche effettivo combattente, la delusione, il pentimento, il ripudio del ‘‘sogno’’ o non piuttosto una sua riaffermazione su una diversa tonalità, accettazione stoica della sofferenza, riscoperta del tragico.
La posta seguente, ‘‘rappresentazione e propaganda’’, apre con Sebellato (che ritrae il D’Annunzio ‘‘orbato’’), e procede con i disegni destinati al settimanale della III Armata, ‘‘la Ghirba’’ - cui collaborarono anche Sacchetti, Sironi, Scalarini - e nel quotidiano romano «L’Idea Nazionale», illustrato da Oppo. Nella stessa sezione troviamo acnhe disegni di Bisi Fabbri, Giuseppe Russo, ancora Sacchetti, Dazzi e di molti suggestivi Cambellotti.
Nell’ultima sezione, ‘‘Mito e celebrazioni’’, incontriamo Chini (con il grande olio su tela La tomba dell’eroe del 1919), Grassi, M. Marini, ancora Viani, Soffici (Il reduce 1919, composto negli anni’29-30), Carrà, Barbieri, altri lavori di Cambellotti e diversi bozzetti dei bassorilievi in bronzo di Arturo Martini datati 1935. Nel corridoio che porta al ‘‘sacello’’ della cripta (se la memoria non inganna) sono esposti i molti disegni eseguiti da Cipriano Efisio Oppo dal 1915 al 1918 per il giornale nazionalista. Nell’appendice del catalogo il visitatore potrà trovare per la prima volta la riproduzione di tutti i 217 disegni con notizie e commento di Nadia Marchioni. Una documentazione interessante anche soltanto dal punto di vista storico-politico.
Quello che abbiamo chiamato ‘‘catalogo’’ è in realtà un’opera, a più mani, che ha un valore di per sé a prescindere dall’evento ‘‘mostra’’. Essa infatti apporta alla conoscenza critica dell’arte italiana del primo Novecento nuovi interessanti contributi sotto il profilo sia estetico che storiografico. Introdotti da Carlo Sisi, troviamo studi di Nadia Marchioni (‘‘L’arte della guerra’’ in Italia nel primo conflitto mondiale: alcuni sondaggi), di Vincenzo Farinella (Immagini della Grande Guerra), Andrea Baldinotti (Gabriele D’Annunzio: la maschera e la morte dell’eroe), del già citato Sereni (Notizie intorno alla guerra per il Liberato Mondo), e di Pier Marco De Santi (La Grande Guerra nel cinema italiano).
Oltre 300 pagine in grande formato. Al lettore interessato in generale al tema della guerra ’14-18 si rammenta che una mostra analoga a quella fiorentina, ma con finalità prevalentemente documentaristiche e storiografiche, si è tenuta nei mesi scorsi a Roma a cura di Giano Accame e di Carlo Strinati. La pubblicazione uscita per l’occasione, La Grande Guerra. Arte e Memoria, ed. Viviani, contiene diversi contributi di storici e saggisti, tra i quali Aldo A. Mola e il fiorentino Enrico Nistri.
Data recensione: 01/01/2006
Testata Giornalistica: I ‘Fochi’ della San Giovanni
Autore: Roberto Melchionda