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Il rischio maggiore che si corre, quando si osserva la Cina, è quello di cadere in una delle due tentazioni opposte: o chiuderla nelle categorie politiche del nostro pensiero occidentale

Il rischio maggiore che si corre, quando si osserva la Cina, è quello di cadere in una delle due tentazioni opposte: o chiuderla nelle categorie politiche del nostro pensiero occidentale, oppure lasciarsi trascinare dal fascino ultramillenario del Celeste Impero per raffigurare un mondo fantastico e affascinante però surreale e, quindi, inesistente. Nel primo caso si tende a rappresentare la grande potenza d’Oriente come un «altrove negativo» perché si parte, senza ammetterlo, dalla presunzione della nostra infallibilità, dalla presunzione di un Occidente democratico e benestante, come tale superiore e preferibile, l’Occidente delle libertà, e dal rifiuto (più che comprensibile, per carità) della tirannia maoista prima e dell’autoritarismo ibrido di social-capitalismo poi, il rifiuto dello Stato che schiaccia l’individuo, dimenticando comunque, in questo filone di pensiero, che le radici del comunismo cinese e della sua evoluzione sono nella cultura confuciana e non sono una invenzione ideologica del ventesimo e ventunesimo secolo. Nel secondo caso, invece, si scivola nella contrapposta mistificazione di glorificare il sistema cinese, la sua capacità di ripartire e di diventare traino dell’economia mondiale, la sua centralità nelle relazioni internazionali e il suo gigantismo dinamico. E così, spesso inconsciamente e incautamente, si casca e si diventa prigionieri delle trappole propagandistiche di un regime molto attento a costruirsi una forte immagine positiva di stabilità, di crescita, di ricchezza.
L’inferno Cina e il paradiso Cina non esistono. È dunque difficile intraprendere il percorso per avvicinarsi con cautela e sensibilità all’universo cinese. Ma il primo passo utile è quello di liberarsi del pregiudizio politico e culturale, in un senso o nell’altro. E affidarsi poi al racconto e alla guida di veri studiosi, di veri analisti, di veri narratori come lo storico Stefano Cammelli autore da ultimo del bellissimo Muri rossi (Mauro Pagliai Editore) ora in libreria, dopo gli importanti Storia di Pechino e Ombre cinesi. È un romanzo-saggio che ci accompagna assieme a otto occidentali, gli otto protagonisti di altrettanti capitoli, nella ricerca di una terra promessa che non si raggiunge mai; sono uomini che, cercando di comprendere la Cina, «hanno varcato un confine indefinibile, oltre il quale non c’era la meta ma l’Occidente era ormai perduto», uomini che «non si rassegnano davanti allo scontato», ovvero davanti agli stereotipi dell’inferno Cina o del paradiso Cina, ma che semmai inseguono con disincanto «l’ombra del vero», la Cina nella sua dimensione quotidiana piena di cadute e risalite, di eccessi e di orrori, di dubbi e di sogni.
È paradossale che questi uomini, gli otto protagonisti del libro, come del resto ogni intellettuale spogliato dell’alterigia, si ritrovino in una condizione di sofferenza. Lo dice bene Cammelli: «Non sono amati dai cinesi cui vanno benissimo gli entusiasti e lontani commentatori di improbabili dragoni, non sono amati dall’Occidente perché nessun amore per la Cina deve spingersi oltre la messa in discussione della indiscutibile superiorità occidentale». Però è indiscutibile: la loro, è l’unica strada che ci conduce fino a sfiorare l’altrove cinese. O «l’ombra del vero».
Data recensione: 16/07/2013
Testata Giornalistica: Corriere della Sera
Autore: Fabio Cavalera