chiudi

Il suo nome d’arte, Gualtieri di San Lazzaro, diceva d’esserselo inventato da ragazzo dopo aver tentato due volte di scappare dal padre, durante una sua trasferta di lavoro a Parma.

Il suo nome d’arte, Gualtieri di San Lazzaro, diceva d’esserselo inventato da ragazzo dopo aver tentato due volte di scappare dal padre, durante una sua trasferta di lavoro a Parma. La prima volta fu riacciuffato a Gualtieri. La seconda a San Lazzaro. All’epoca – fine anni Dieci – il suo vero nome era Giuseppe Papa, giovanotto “senza studi”, nato a Catania nel 1904, destinato a farsi un nome (falso) nella Parigi luminosa del dopoguerra. Dalla sua parte aveva il dono di una penna facile, allenatasi sulle Cronache di attualità di Bragaglia e nella cronaca giudiziaria del Messaggero. Ma sfoggiava, soprattutto, un bel talento nel tessere rapporti. Sbarcato in Francia nel 1924 conobbe Leopold Zborowsky, il mercante di Modigliani, che gli affidò la direzione di una rivista d’arte salvo piantarlo in asso preso da altri impegni. Ma lui reagì alla grande e, invece di chiudere bottega, raddoppiò la posta, lanciando sul mercato una lussuosa serie di monografie d’autore affiancate, nel 1938, dal primo numero di XXeme siècle, testata entrata nella leggenda dei periodici del Novecento per la qualità dei testi (Sartre fra gli altri) e un corredo di litografie di Chagall, Picasso, Matisse, Miró, Braque, Moore e via sfogliando. Cresciuto con il sogno di diventare un grande scrittore, Gualtieri si ritrovò insomma un grande editore. Uno che, come racconta bene la mostra curata da Luca Pietro Nicoletti e Luigi Sansone a Palazzo Sormani, ricca di testi, opere originali e della riedizione del suo romanzo Parigi era viva, aveva un senso straordinario per la carta stampata e per gli affari. Cavalcando le sue amicizie francesi, divenne il miglior interlocutore a Parigi di galleristi e collezionisti italiani. Come Carlo Cardazzo della galleria milanese il Naviglio che riuscì a esporre Kandinsky grazie a un suo contatto. O come i collezionisti Mattioli, Jucker o Vittorio De Sica cui procurò un bel pezzo di Rousseau. Tutto, nonostante il suo carattere riservato: “le silenciaire” lo chiamava Zavattini, “un siciliano ombroso” lo definì sempre Malaparte.
Data recensione: 14/01/2012
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Chiara Benedetta Gatti