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L’uomo che scrive ha una ferita sulla faccia, ma non si sa da dove sia arrivata, né perché. La donna a cui scrive non ha un nome: percorre le stanze della casa senza vederlo

È uscito “Luminosa signora” il nuovo lavoro di Alfonso Lentini

L’uomo che scrive ha una ferita sulla faccia, ma non si sa da dove sia arrivata, né perché. La donna a cui scrive non ha un nome: percorre le stanze della casa senza vederlo, entra ed esce dai paragrafi seguendo un’altra storia. Pare. Nella casa ci abitano tutti e due. Forse. Ma la casa sembra avere anche lei una propria esistenza indipendente: dietro a una scala che diventa sempre più stretta man mano che si sale, porte che si aprono e si chiudono, stanze che si aggiungono ad altre stanze a caso, muri che soccombono alla salsedine e camere remote, che non si potranno più aprire. Insomma, che succede nel nuovo libro di Alfonso Lentini? “Luminosa signora. Lettera veneziana d’amore e d’eresia” (Mauro Pagliai Editore, 111 pagine, 8 euro), semplicemente, illude. O elude. Che poi, in fondo, si tratta dello stesso gioco: una illusione lunga cento pagine. Un racconto lungo pieno di domande che non trovano neppure formulazione: vengono stoppate prima ancora di diventare espresse. Come in “Cento Madri”, il suo precedente lavoro, Alfonso Lentini aveva preso in prestito dal Barocco volute, oscurità e fantasmagorie ambientandole in una Sicilia immaginifica e opulenta, così in “Luminosa signora” l’esercizio della rivisitazione fa un nuovo passo, questa volta rivolgendosi al Rococò. Non è un caso se viene chiesto a Venezia di fare da fondale: la città doppia per antonomasia, marmo e acqua ad un tempo solo, è l’ideale scenografia per una storia che usa tutti gli strumenti dell’artigianato simbolistico per alimentare il suo mistero. Ci sono “suonatori di silenzio”, padri amati alla follia e finiti nella follia, ci sono macchine per fermare i sogni e, naturalmente, mongolfiere. Il patto stretto con il lettore non è per nulla rassicurante:potrebbe essere un racconto ambientato cento, duecento anni fa; e il lessico, l’assenza di tempo peculiare della laguna, concorderebbero anche in questo. Ma quando l’immagine mentale sta per formarsi nella testa del lettore, ecco un computer, un cellulare, una suoneria. Potrebbe essere una storia d’amore antica, e per di più condotta in quella formula - l’epistolario - tanto collaudata nel Settecento. Ma, appena parte l’idillio di lui, l’apparizione di lei cambia le carte in tavola: dormono insieme, ma lei non lo vede. La storia è finita? La storia non è mai cominciata? E, soprattutto, chi è invisibile a chi? Tutte le domande che ossessionano il protagonista, che scrive nell’urgenza di chiedere, non arrivano neanche alla formulazione perché il pensiero devia in una nuova apparizione, in un nuovo turbamento, in un nuovo giro di ricordi spezzati. Insomma, se, come fa dire Alfonso Lentini al padre del suo protagonista sfregiato, “la lotta per la trasformazione del mondo è una forma di costruzione della verità”, qui siamo in una superfetazione.
Data recensione: 10/12/2011
Testata Giornalistica: Corriere delle Alpi
Autore: Michela Fregona