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Dalla piccola e media editoria ci vengono ogni tanto delle sorprese graditissime, e una di queste è stata colta al volo

  Dalla piccola e media editoria ci vengono ogni tanto delle sorprese graditissime, e una di queste è stata colta al volo da una giuria attenta e severa come quella del Premio Viareggio-Repaci. Si tratta del terzo romanzo della scrittrice toscana Lia Tosi, Il signor Inane (Mauro Pagliai Editore), che nel teatro velenoso e decadente d’una cittadina di provincia, mette in scena una «allegoria antropologica dell’umano», colto nel suo spigliato, banale e drammatico villaneggiare dell’inane, simbolo catastrofico della codardia universale. Romanzo dai toni linguistici in cui il retroterra culturale dell’autrice, studiosa di lingua e letteratura russa, emerge in sapienziali richiami al Dostoevskij delle Memorie del sottosuolo, ma ancor più ai maggiori italiani del Novecento dei quali ha saputo concettualizzare il timbro armonico.I protagonisti de Il signor Inane, Maria Rossi, Didaco Puccini e Fiammetta risaltano nel ritratto al nero della media borghesia avida e ipocrita in cui la Tosi fa agire i suoi personaggi con circospezioni e sospetti che hanno la tessitura di un thriller. È una lotta occulta e feroce che non avrà vincitori e gemerà sconsolata nell’animo dei vinti. Toni forti e situazioni inedite che non sono sfuggite alla giuria del Premio Viareggio che ha incluso il romanzo della Tosi nella terna dei finalisti per la narrativa. Il premio sarà assegnato il 26 agosto.
Il signor Inane è tutto e il contrario di tutto. Nella sua indefinibilità è riposto il mistero stesso della vita e dell’uomo? «Penso di sì. Inane è un termine lucreziano, indica, nei due primi libri del De rerum natura dedicati alla fisica epicurea, lo spazio vuoto entro cui si muovono gli atomi che con i loro incontri e combinazioni danno origine alle forme della natura, uomo compreso. È la tabula rasa su cui gli atomi, paragonati non una sola volta da Lucrezio alle lettere dell’alfabeto che unendosi in varie combinazioni generano poesie e senso, scrivono la natura e le sue forme».
Il personaggio del signor Inane induce a delle considerazioni che solo la buona letteratura sa evidenziare: quali paternità letterarie hanno nutrito questo suo scavo nell’animo umano? «Sono talmente tanti i grandi autori da cui ho tratto consiglio, per vivere, prima che per scrivere, e citarli come il “nutrimento” mi sembra una presunzione. Se dico che anche in questo lavoro ho cercato di evocare al presente l’inesaurito potenziale della letteratura latina, che ancora oggi ci può soccorrere per leggere le nostre incognite, mi condanno a una fascia di utenza da “tarda età”? Questo racconto poi rivela dall’inizio da cosa attinge; si apre con un aperto utilizzo di materiali danteschi, i simoniaci che dalla loro bolgia infernale riemergono in superficie attraverso le tubazioni del metano. Mentre la visione di Maria Rossi che vede nel cielo della sua città esplodere il Paradiso contamina figure e architetture dantesche con la descrizione dell’esplosione del reattore di Cernobyl’ resa a pochi giorni della catastrofe da Grigorij Medvedev, ispettore inviato alla centrale per chiarire la dinamica dell’incidente. E la letteratura russa è componente costitutiva di ogni cosa che scrivo. Una scuola che ho introiettato e mi si è impressa nei meccanismi che mi producono scrittura (a prescindere dai risultati)».
Perché anche il bene, l’amore, sono sottoposti a una sorta di rodaggio in ogni tempo, e soprattutto nella nostra epoca? «I difficili rapporti con gli altri, i sentimenti, affetti, passioni, sottoposti davvero a rodaggio, si muovono spesso in labirinti che nemmeno sospettiamo. Penso che tutto sia nell’ordine delle nostre imperfezioni. Siamo imperfetti, forse neanche perfettibili, ma credo migliorabili. E azzardo anche: nella nostra epoca i rapporti interpersonali si sono sfilacciati, arresi, talvolta degradati seguendo il destino declinante dei legami sociali, delle occasioni d’incontro collettivo, di costruzione partecipata di progetti comuni? Non solo questo: troppo spesso ciascuno è lanciato in un percorso verso la sua meta, in competizione non si sa con chi, con la vita stessa, senza darsi pausa nemmeno nel riposo. Succede che non ci facciamo più compagnia, non ci mettiamo più tranquilli a farci compagnia».  
Data recensione: 22/08/2011
Testata Giornalistica: Gazzetta di Parma
Autore: Francesco Mannoni