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Le bandiere al vento, un tamburo che picchia e il tipo dei gelati che inneggia alla cassatina prima di lanciartene una al volo che devi essere Superchi per non fartela scappare.

Le bandiere al vento, un tamburo che picchia e il tipo dei gelati che inneggia alla cassatina prima di lanciartene una al volo che devi essere Superchi per non fartela scappare. Da questa curva dove se vuoi vedere la partita devi arrivare tre ore prima il mondo è piccolo e lontano. E il mondo è un prato verde, con un anello rosso che gira intorno e uno spettacolo che ogni volta racconta un’altra storia. Quella che poi riascolteremo insieme tornando verso casa: in autobus, in bici, a piedi sul viale dei Mille. E se la porta degli altri è sotto questa curva la tua partita è come un flipper. E quando hai il sole in faccia strizzerai anche gli occhi per provare a seguire la palla sperando che finisca lì, dentro quella buca. Per quello preghiamo e imprechiamo. Noi siamo qui per la Fiorentina. E per lui. Pietra preziosa. Perché non c’è pallone che non passi dalle gambe di quel ragazzo biondo chea te sembra già grandee grosso, ma solo perché corre verso i vent’anni, mentre tu conti i giorni che ti separano dalla fine delle medie. Giancarlo Antognoni ha iniziato col sette sulle spalle. Quel numero dice che coi piedi ci sai fare. Sei importante, sì, ma non ancora fondamentale. Ogni tanto avrai la tua occasione lungo quella striscia bianca. Ma a volte basta un soffio per capire. E così Antognoni a Verona, a soli diciotto anni, lancia il suo messaggio. È nato il nuovo Rivera, urlano i giornali. Il ragazzino è l’uomo dei sogni: lanci, giocate, cross e una botta che fa male. Niente da fare: il suo destino è in mezzo al campo e il 7 non spiega abbastanza: Giancarlo è un 10, un fantastico 10. La falcata leggera, la testa alta e sempre pronta a inventare qualcosa per i compagni e per la sua gente. Dall’esordio di Verona (15 ottobre 1972) Giancarlo Antognoni in realtà non ha mai smesso di giocare con la maglia della Fiorentina. E questa non è una considerazione statistica. Ma sentimentale. Perché Antognoni è la Fiorentina. Non sono solo le 341 partite con la maglia viola a spiegare perché. E neanche quell’ insolito e incredibile senso di fedeltà che lo ha reso diverso da tutti e per tutti. Il fatto è che festeggiare Giancarlo Antognoni significa festeggiare il calcio e la bellezza, Firenze e la sua voglia di essere grande per davvero. È come andare a vedere i Pink Floyd dopo aver fatto i conti con cento o mille canzoni sbucate da un talent show. Non è un caso se il mito del “Mio capitano” è qualcosa di ereditario: quante storie da raccontare a figli e nipoti. Chi lo ha visto diciottenne poi è cresciuto insieme a lui tra giorni poveri e fantastiche illusioni. Con lui Firenze aveva combattuto e vinto il suo mondiale. E poi la paura. E quel silenzio. E quei trentacinquemila cuori sospesi intorno al corpo quasi immobile del ragazzo biondo. Quel tenersi mano nella mano in attesa del suo respiro, di un suo movimento. Ma il capitano è salvo. E allora l’ avventura continua. Bella, meno bella. Quello che conta è sapere che lui c’ è. È avere un numero dieci vero da mettere sul piatto mentre gli altri tirano giù i loro assi: Platini, Maradona, Zico. Firenze ha Giancarlo. Punto. Perché lui tornerà. Con la testa fasciata. E poi tornerà anche dopo una gamba finita in pezzi. Ormai lui è come il giglio. Un marchio, un’idea, un valore, una bandiera. Un principio saldo in un mondo che si prostituisce e si ribalta a colpi di miliardi. Lui è la nostra diversità e il nostro orgoglio. Lui è poter dire: esistono dei princìpi, nonostante voi. Voi che comprate tutto: campioni, arbitri, scudetti. Già. Il dopo Antognoni si chiamò Baggio. Una ferita profonda sulla pelle di una città che non era pronta al tradimento. Dopo il breve passaggio a Losanna l’unico dieci disse addio al pallone davanti a 40 mila fiorentini. Molti anni dopo le lacrime della città piovvero insieme ai garofani sul passo emozionato di Manuel Rui Costa. Era stato proprio Antognoni a scoprire il ragazzo portoghese. Uno che gli somigliava parecchio. Diecia tutto campo: dribbling, lancio, capacità di perforare in verticale. In questi 39 anni Giancarlo Antognoni è stato tutto: campione, dirigente, uomo esiliato, invocato, spesso anche usato perché la sua faccia basta per mettere tutti d’accordo. Festeggiarlo oggi significa ritrovare in questo momento di noia e vuoto il senso di quelle emozioni. Esserci racconta soprattutto la voglia di tornare tutti insieme intornoa una bandiera e di gridare con forza tutto l’amore che c’è. Abbracciare Giancarlo è quel senso di gratitudine reciproca che ci fa sentire di nuovo a casa, è un veloce sguardo indietro per riconoscerci ancora e ricordarci chi siamo. Noi che vogliamo ricominciare a correre sulla nostra strada per inseguire quel sogno: il sole negli occhi, quel tamburo che picchia, la Fiorentina che c’è.
Data recensione: 04/03/2011
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Benedetto Ferrara