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È partito da solo nel novembre del 2009 Massimo Serafini, come pellegrino verso Santiago di Compostela, e lo racconta nel diario dei ventisei giorni in cui ha percorso a piedi ottocento chilometri. Serafini dice che non è uno scrittore

È partito da solo nel novembre del 2009 Massimo Serafini, come pellegrino verso Santiago di Compostela, e lo racconta nel diario dei ventisei giorni in cui ha percorso a piedi ottocento chilometri. Serafini dice che non è uno scrittore, lui ha un’osteria sulla colline lucchesi, ma racconta con una semplicità e una naturalezza che coinvolgono. L’idea del viaggio è maturata nel tempo, è nata come risposta al bisogno di stare solo con se stesso, di riflettere e di rafforzare la fede.
Scende dal treno alla stazione di Saint Jean Pied Port, in territorio francese, è una notte di pioggia, sulla sua strada c’è solo una ragazza a cui chiedere informazioni per un albergue. Conosce poco l’Inglese e per niente il Francese e lo Spagnolo. Ora ci sono i Pirenei da scalare, e poi si arriva a Roncisvalle e avanti ancora fino a Puente la Reina, punto di incontro del Cammino navarro con quello aragonese. Il pellegrino avanza e osserva con stupore, scopre paesaggi, usanze, città, persone, leggende. È guidato dalla freccia gialla che compare di frequente, è indirizzato dalla gente del posto, se per caso sbaglia percorso: “Ho incontrato operai che spargevano ghiaia e terra fresca sul sentiero, poi ci passavano sopra il rastrello. Uno mi ha fatto cenno di passare, che sarei stato il primo. Io il primo pellegrino? Sì, sì, mi fa lui. Allora alzo il piede destro e lo affondo nella terra fresca, ci scarico il peso del corpo, poi metto giù il sinistro e alzo il destro. Mi giro per guardare la mia impronta e vedo che loro ridono e mi incitano, vai, vai!” Serafini si avvicina a tutto con curiosità, non giudica, ascolta le lingue che non conosce, cerca di capire interpretando il linguaggio non verbale, usa con intelligenza quel poco di Inglese scolastico che sa, chiede spiegazioni con umiltà quando ha la fortuna di incontrare un italiano. Nel silenzio il pellegrino porta con sé tutti i suoi cari, ed ogni giorno dedica la tappa ad un familiare, un amico, con una visione più chiara e oggettiva dei legami affettivi e della loro importanza nella sua vita: “Mi sento bene. Cammino in silenzio pensando a chi dedicare la tappa di oggi. La dedicherò alla mia nonna Zelmira, che mi ha lasciato nel 1982, ma vive ancora dentro di me con tanti ricordi. Come posso dimenticare il suo modo di sfregarsi le mani quando era contenta e poi passarsele sul viso? E quando le chiedevo: ‘Nonna, mi fai la crema?’ lei metteva subito il pentolino al fuoco. E la notte  si alzava e veniva in camera mia al buio, e tastava in fondo al letto, per sentire i piedi, per sapere se ero tornato”. Chiude ogni tappa con un pensiero del giorno, un piccolo compendio di saggezza che cresce con l’esperienza quotidiana. Lui cerca le cose importanti e l’autenticità delle relazioni umane.
Intanto il gruppo si allarga, negli albergue a sera trovano rifugio e ristoro pellegrini da tutto il mondo, in una babele di lingue, ma in una comunione di problemi e di difficoltà che creano solidarietà, complicità e condivisione, una famiglia multilinguistica e multiculturale che si allarga e si consolida giorno per giorno: “Siamo tutti insieme in una camerata, che bello! Questa diversità di lingue, questi scambi di informazioni, opinioni, conoscenze, è favolosa. È una fonte di ricchezza e forse anche questo è il CAMMINO”. Le difficoltà sono tante, i piedi si ulcerano, le ginocchia tradiscono le aspettative, la pioggia di novembre non si placa, ma i paesi che si attraversano riportano ad atmosfere medioevali, i momenti conviviali portano calore, gli orizzonti che si aprono sono infiniti, le mesetas affascinano e intimoriscono: “Riparto per affrontare la prima meseta, che vuol dire altipiano. Non le ho mai viste e non ne ho sentito parlare. Si sale tra campi e colline arati di fresco, senza alberi o cespugli, su sterrati grandi dove passano i trattori, su, su, e quando arrivi in cima ti blocchi stupito…Sono solo, dietro c’è la strada tortuosa che si perde tra i campi e davanti il NULLA, il vuoto assoluto di forme, la vastità, che dà una sensazione incredibile, di impotenza, di paura.”.  L’arrivo a Santiago, proprio nel giorno del suo compleanno, lo ripaga delle fatiche, l’atmosfera è magica, finalmente riceve la compostela, che certifica il suo percorso, del resto documentato da un  timbro, un sello, ricevuto in ogni albergue in cui ha pernottato.
Quello di Serafini non è solo il cammino verso un luogo di fede, la cattedrale sorta nel posto in cui nel IX secolo furono trovate le spoglie attribuite a Giacomo Maggiore, fratello dell’apostolo Giovanni, ma è un percorso in profondità, dentro di sé, alla ricerca del senso reale della vita, nella consapevolezza piena della dimensione spirituale del  cammino di ogni uomo sulla terra.  Alla fine del percorso ci si sente trasformati, con una sensibilità più profonda, più facili alla commozione, e da qui si riparte per affrontare la vita: “Ma il mio cammino nuovo sta cominciando ora con questo libro, e se Dio mi aiuta vorrei realizzare un progetto ancora più grande e difficile. Difficile non vuol dire impossibile e a volte anche l’impossibile diventa possibile. La vita mi ha dato tanto, rispetto a altri, e mi ha anche tolto, come a tanti altri. Ma sono qui, esisto, ed è una bellissima cosa poterlo raccontare.”
Data recensione: 01/09/2010
Testata Giornalistica: Alleo.it
Autore: Marisa Cecchetti