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La tensione di un uomo. La sua ansia di sapere, di toccare una verità lontana nel tempo eppure presente. In Gianni la ricerca sulle origini dell’antenata Repubblica Fadigati, figlia di Garibaldi secondo la saga familiare, grande ribelle e grande personali

La tensione di un uomo. La sua ansia di sapere, di toccare una verità lontana nel tempo eppure presente. In Gianni la ricerca sulle origini dell’antenata Repubblica Fadigati, figlia di Garibaldi secondo la saga familiare, grande ribelle e grande personalità, si trasforma in una splendida ossessione che inizia e termina con una domanda che non può ricevere risposta: «Io, chi sono?». Una figura storica, una ricerca accuratissima, tenace, fra archivi e nei meandri dei ricordi delle persone, sono alla base del romanzo di Genziana Ghelli, psicoterapeuta e genealogista, «La Garibaldina - Repubblica figlia di due padri », edito da Mauro Pagliai.
Genziana Ghelli, come ha scoperto la figura di Repubblica Fadigati?
«Si parlò di lei alla presentazione di un’edizione delle Memorie di Garibaldi. Il relatore uscì con una frase: “Qui ci vorrebbe Genziana Ghelli”. Fra il pubblico c’era un discendente. È nata una simpatica sfida. Sono corsa a conoscere i discendenti, il Gianni del romanzo e il fratello. Ho ascoltato molto bene la loro storia, anche fra le pieghe del non detto e gli inevitabili vuoti di memoria. In famiglia c’era un mito: Paolo Fadigati chiede alla moglie Palmira Visioli di fargli un figlio garibaldino».
Un romanzo.
«Neppure tanto. Garibaldi aveva già fatto da padrino a due dei tredici figli dei Fadigati, Daverio e Clelia. Due anni dopo la nascita di Clelia, darà lo stesso nome alla propria figlia. Padre Pantaleo, il frate garibaldino, dopo aver gettato la tonaca, sposa una francese, ne ha tre figli e chiama Clelia la prima femmina. Non solo. Paolo Fadigati è rimasto orfano di padre che era ancora bambino. Trova nella figura di Garibaldi un modello sia paterno sia politico. Paolo è un benestante che sente moltissimo l’istanza politicosociale. Con la moglie finisce in esilio in Svizzera. Tornano e si stabiliscono nel Cremonese, in un palazzo a Casalmaggiore e in un cascinale a Rivarolo del Re. Repubblica nasce nel 1868».
Figlia di Garibaldi?
«Se i cromosomi sono di Garibaldi, va bene. Se sono di Fadigati, va bene lo stesso. Dietro c’è un credo politico, di lotta. Il sangue garibaldino c’è comunque».
Che cosa lo dimostra?
«La vita di Repubblica Fadigati, che si svolge quasi tutta a Milano fino alla morte, nel 1954. Sposa il cavalier Augusto Armani, bellunese di origine, ufficiale delle Poste. È lei a fondare la Società Lombarda dei Garibaldini, in corso Venezia. È lei che attraverso gli amici politici del padre fa avere la pensione ai reduci, che la benedicono. È l’unica della Società cui è permesso di vestirsi da garibaldina. Scrive. Tiene conferenze. Organizza convegni su Garibaldi. Non perde un’inaugurazione. Il sindaco di Milano la insignisce del titolo ambitissimo di “cittadina”».
Perché ha scelto di scrivere un romanzo anziché un saggio storico?
«Mi attrae la parte intima delle persone, non per niente sono psicoterapeuta e genealogista. Quando ricostruisco un albero genealogico, presuppongo di ritrovare anche certi legami più profondi. Vado a trovare la spiegazione del “chi sono?” perché mi interessa il “chi siamo?”. Ho molto rispetto per gli storici, quelli veri. Il loro lavoro non è il mio. Ho scelto la forma romanzata di fatti veri per un approccio più leggero con i lettori. Mi è sembrata la forma migliore per mettere lamano sulla sana quotidianità. In questo periodo siamo in piena rievocazione del Risorgimento. Ma è importante anche sapere che cosa ha fatto un personaggio dopo essere sceso dal cavallo».
Rimane l’enigma sul padre di Repubblica Fadigati.
«Potrebbe scioglierlo solo il Dna. Per me era importante riposizionare la sua figura. Era sopravvissuto il suo mito, lei era sparita. Sono entrata nella sua vita. È stato bello».
Data recensione: 26/06/2010
Testata Giornalistica: Il Giorno
Autore: Gabriele Moroni