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«Patriottismo è una bella parola. Se ci penso mi piacerebbe sentirmi patriota. Ma oggi come si fa? Alla luce di quello che è successo dopo come può una persona sentirsi patriota? Il Risorgimento e noi, due mondi diversi, lontanissimi».

«Patriottismo è una bella parola. Se ci penso mi piacerebbe sentirmi patriota. Ma oggi come si fa? Alla luce di quello che è successo dopo come può una persona sentirsi patriota? Il Risorgimento e noi, due mondi diversi, lontanissimi». I ragazzi non perdonano, vanno subito al dunque. È la prima domanda della platea di studenti nell’aula magna del Liceo Cecioni.  È stata la prima scuola superiore che ha visto la presentazione del libro “I Mille” di Giuseppe Bandi, diario del giornalista-garibaldino fondatore del “Telegrafo” in una nuova edizione a cura del “Tirreno” e di Mauro Pagliai Editore (in edicola oggi a 11,90 euro più il prezzo del quotidiano).  Il liceo - guarda caso - sta a fianco del quartiere popolare segnato da via Garibaldi e via Giuseppe Bandi, persa tra i palazzoni, è proprio a due passi. Davanti a degli uditori così si è messa subito da parte la retorica. «È stata un’impresa di giovani che avevano un ideale comune, avevano meno di vent’anni» ha ricordato il direttore del Tirreno, Roberto Bernabò che ha moderato l’incontro. Ed è stato inevitabile ricordare che la città di Livorno ha contribuito all’impresa dei Mille con un numero altissimo di uomini. «Qui - ha detto l’assessore alla cultura Mario Tredici - sono state coinvolte migliaia di persone. L’adesione all’impresa garibaldina non è stato un fenomeno d’élite come da altre parti, qualcosa che ha riguardato gli intellettuali o la borghesia illuminata. Qui in campo scese il popolo». E il comune per ricordare quell’epoca ha organizzato un’annata di eventi sul Risorgimento sotto il nome di “Sogno d’Italia”.  Ma è toccato al professor Cosimo Ceccuti, docente di storia all’Università di Firenze - lui che ha curato l’introduzione di questa ristampa de “I Mille” e che rappresentava la sponda scientifica dell’incontro al liceo - rispondere con pazienza a quella fondamentale domanda. «Il Risorgimento viene visto in maniera critica soprattutto nei momenti difficili. Invece quel movimento voleva realizzare un Paese, tradurre dei valori in realtà. E anche se la Storia non ha risposto alle attese, sono nate lì cose come la libertà di stampa e la laicizzazione della scuola. Dopo il periodo buio del Fascismo, c’è stato un secondo Risorgimento che è stata la Resistenza e ha riportato la fiducia in un’Italia democratica. Certo il vecchio sistema liberale torna sempre fuori, ma oggi più che mai c’è bisogno di ritrovare dei valori». «Chi deve risollevare questo Paese siete voi - ha detto con slancio il professore che fu allievo di Spadolini - con il vostro solidarismo, la vostra voglia di fare. Altro che bamboccioni. Dopo la crisi alla fine dovremo pure tornare a crescere. E allora toccherà a voi. È una sfida che si vince partecipando tutti alle scelte. Il calo di votanti alle ultime regionali è stato un pessimo segnale. Perché, come diceva Machiavelli, “Per conservare la repubblica il popolo deve tenerci le mani sopra”».  Una platea per la maggior parte fatta di ragazze, attentissime nelle prime file. Ed è una ragazza a porre la domanda che in tanti si fanno: stiamo qui a celebrare l’unità d’Italia e i politici si fanno la guerra sul federalismo e sulla divisione tra Nord e Sud. Come la mettiamo?  Di nuovo il professore risponde, lui che aveva fatto un’introduzione brillantissima sul Risorgimento, fornendo un quadro appassionante nel quale personaggi come Mazzini e Garibaldi venivano presentati lontani dai luoghi comuni. Il primo non era solo il profeta di un’utopia, ma un uomo che aveva una visione pratica delle cose e che venne preso come modello nientemeno che da Gandhi, l’altro che non era solo un combattente ma aveva un pensiero politico avanzatissimo (voleva persino dare il voto alle donne). Alla ragazza il professore spiega che federalismo non significa che l’Italia torna spaccata, ma che si sta tentando di rendere operativo il decentramento alle Regioni.  E le donne? Qual era il loro posto nel Risorgimento? «Molto importante - dice Ceccuti - erano crocerossine, vivandiere al seguito della camicie rosse, eroine anche loro. Avevano un coraggio ammirevole se si pensa che una ragazza che partiva con i garibaldini era da considerarsi perduta, una poco di buono. Un ruolo fondamentale quello femminile che va riscoperto».  E se la parola patriottismo oggi sembra troppo impegnativa ce n’è un’altra che potrebbe ancora andar bene: ideali. I garibaldini erano disposti a morire per i loro ideali. Come suona oggi quella parola? Un gruppo di allieve della 4ª A del pedagogico non ha dubbi: «Non ideali politici. La politica come viene praticata oggi non ci piace. I governanti dovrebbero sentirsi onorati di servire l’Italia e invece paradossalmente pensamo solo al potere e ai loro stipendi». «Ho partecipato a una manifestazione sul Risorgimento - dice una ragazza dai lunghi capelli biondi boccoluti - c’erano i militari, le bandiere. È stato molto emozionante. Certo che lo so che Livorno era garibaldina. Si è combattuto anche in piazza San Marco». Già, ma gli ideali? «Uno certamente è l’integrazione. Se le persone vengono nel nostro paese lo fanno per necessità e dobbiamo accoglierli. E poi anche il principio di solidarietà, questi sono i nostri ideali».
Data recensione: 21/05/2010
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Maria Teresa Giannoni