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Cinquant’anni fa moriva Sibilla Aleramo (Rina Faccio). Una poetessa nella femminilità degli incontri e degli spazi tra le parole e il tempo. Si ritorna a parlare della Aleramo tra la fisicità dell’amore e la metafora dell’amore stesso.

Una pubblicazione sul valore dell’amore

Cinquant’anni fa moriva Sibilla Aleramo (Rina Faccio). Una poetessa nella femminilità degli incontri e degli spazi tra le parole e il tempo. Si ritorna a parlare della Aleramo tra la fisicità dell’amore e la metafora dell’amore stesso. È di questi giorni un libro di Monika Antes nel volume “Amo, dunque sono. Sibilla Aleramo, pioniera del femminismo in Italia” (pp. 144, euro 15) pubblicato da Mauro Pagliai nella collana “Italianistica nel mondo”. Si tratta di un volume pubblicato in Germania e tradotto e tradotto in italiano da Riccardo Nanini.  La poesia, con la sua epifania e con il suo misterioso giorno incastonato nella vita, resta sempre un indefinibile sentiero graffiato dalle parole e nelle parole. Ma sono le parole che danno vita. La poesia è solitudine nel silenzio notturno o adamantino dell’ora antelucana.
Non so se Sibilla Aleramo è silenzio nella notte o silenzio nell’ora che annuncia l’alba. Un gioco non ad incastro. Ma un gioco, comunque, che sa di voci e di ritmi musicali. Siamo a volte al valzer e a volte al tango. Ma Sibilla Aleramo sembra danzare i passi del tango in un giravolta in cui le parole sono lame e riposo. Quella poesia che è solitudine e grido non è una metafora ma un colpo violento assestato ai ricordi che però si dipanano lungo i giorni. E di ricordi la sua vita è piena e sono questi ricordi che cessano la vita. Ma prima di essere ricordi le immagini e il vissuto sono stati viaggi nella vita.
La poesia e la vita sono leggibili tra i fili di un erotismo sottile e pervasivo che resta intagliato nei gorghi delle giornate che si consumano con le battaglie della delizia. “Fra il mio seno/e il petto forte che amo/sta una rosa,/sola”. Non la prosa che descrive ma la poesia che travalica il movimentismo letterario per rendersi movimentismo esistenziale. Perché tutta la vita di Sibilla Aleramo è un cercare  non la parola che racconta ma il linguaggio che si fa diario.
Il suo romanzo dal titolo “Una donna” è una di quelle testimonianze emblematiche che lasciano il segno e lacerano  la coscienza.  Viene pubblicato nel 1906. Lei era nata nel 1876 ad Alessandria. È morta a Roma il 13 gennaio del 1960. Una vita vissuta  nella ricerca (o nella richiesta o nell’offerta) di un amore che lo si legge tra gli intagli del suo linguaggio.
Dall’incipit del suo romanzo: “La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo”. Recuperare una vita dentro la letteratura. Ma arte e letteratura per la Aleramo resta un binomio inscindibile perché in ogni goccia di vita e in ogni goccia d’amore vi campeggia sempre una profonda mobilitazione letteraria.
I suoi amori con Cardarelli, Campana, Cena, Papini, Godetti sono frammenti di una esistenza che trova la sua compiutezza in un dialogo forte e pressante sempre con la letteratura. Bene ha fatto a sottolineare Silvio Raffo nel suo saggio introduttivo a Tutte le poesie (Mondadori, 2004). Infatti ha così sottolineato: “ Se cerchiamo un modello letterario del ventesimo secolo in cui il binomio ‘ arte-vita’, per di più coniugato al femminile, si presenta e si mantenga inscindibile superando qualsiasi ostacolo e resistendo a qualsiasi tentazione di normalità, c’è solo un nome che soddisfa il nostro desiderio: Sibilla Aleramo”.
D’altronde questa melodia o questa fragile tragedia diventa per Sibilla Aleramo un viaggio che non è soltanto da chiamarsi amore (così come il suo amore per Dino Campana) ma da definirsi nel contesto delle grandi inquietudini che hanno campeggiato nella agonia umanamente e letterariamente belligerante del ‘900. ma è l’eros che è passione indefinibile che travolge la sua vita e la sua poesia. Tutto scompare e tutto riappare sotto quelle forme che sono insistenti penetrazioni del linguaggio.
Certo non ci sono dubbi lei è una donna tango non valzer. Una donna attrazione fatale e come tale anche evanescente, fuggevole su un mare di onde di carta o di vento. Fuggente. Come la sua poesia o come le onde che invadono la sua poesia che si fanno tenerezza ma anche angoscia, si fanno notte ma anche alba, si fanno luna e si fanno stella. Il suo amore immenso o l’immenso amore che cercava con Cardarelli, il poeta della malinconia, o con Campana, il poeta della follia…Malinconia e follia sono dentro quel pellegrinaggio disperante ma anche giocoso che è stato la sua vita-poesia o la sua poesia-vita. Si ascolta: “ Era il tuo riso/fuggente/come il lucido raso delle acque…”.
Ecco il verseggiare di Sibilla che non deve e non può cadere nel prosastico perché se così fosse svanirebbe tutta quella ebbrezza che custodisce il mistero di una sola parola. Aveva ragione Cardarelli quando in una lettera del maggio 1915 le aveva scritto : “…pensa che tu sei esalazione assoluta e che non puoi permetterti composizioni, per così dire, strofiche. Allora cadi nel vieto e nel falso…”. Eh si perché la rarefazione della parola trova nella esalazione il maggiore accento di quel rapporto tra arte e vita. Ciò le permette di non scivolare nella retorica perché la retorica appunto uccide la poesia. Bisogna parlare nel caso di Aleramo di bellezza inquietudine soprattutto quando si focalizza l’attenzione sulla poesia. Si ascolta: “…tu mio bene segreto, tu che mio non sei,/ tu alto sovra quanto amai,alto amore,/ e dal ungi il tuo sorriso di carità dolce/ vita e morte ugualmente mi illumina,/ colme e preziose di pianto e gloria”.
I suoi versi come i suoi amori. I suoi amori come i suoi versi. Da una lettera della Aleramo a Dino Campana : “ I nostri corpi sulle zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il cielo” (risalente al 6-7 agosto 1916). Una donna immensa in una poesia ritagliata tra le pieghe della sua vita e degli amori. Amata e amante di Vincenzo Cardarelli, Giovanni Papini, Jullius Evola, Franco Matacotta. Dove finisce allora il tempo della parola e dove inizia il tempo della vita? Forse la certezza del dubbio infervora i cuori e lascia tutto sospeso come quel finale del suo romanzo Una donna, che sottolinea : “O io forse non sarò più…non potrò più raccontargli la mia vita, la storia della mia anima…e dirgli che lo ho atteso per tanto tempo?/ ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno”. Ma il suo pensare nella vita stava nella bellezza maledetta della vita stessa tanto che aveva posto come paesaggio questo inciso: “Io sono certa di vivere come devo. Questa certezza mi fa superiore alla maggioranza, ed e’ [una certezza] costante”.
Data recensione: 03/05/2010
Testata Giornalistica: Mediterraneonline.it
Autore: Marilena Cavallo