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Fu una splendida giornata primaverile quell’11 marzo di 150 anni fa. Ovunque, in Toscana, il sole accompagnò migliaia di cittadini a votare per scegliere tra la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II o un generico regno separato. Il primo refere

Fu una splendida giornata primaverile quell’11 marzo di 150 anni fa. Ovunque, in Toscana, il sole accompagnò migliaia di cittadini a votare per scegliere tra la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II o un generico regno separato. Il primo referendum della storia moderna, chiamato in seguito semplicemente plebiscito. Ancora oggi nella facciata di molti palazzi comunali toscani si trova affissa la lapide-proclama che ne annunciava i risultati.
A quello storico voto erano chiamati tutti i maschi adulti, a qualunque censo appartenessero, ricchi o poveri, contadini o aristocratici cittadini. La gestione del voto fu minuziosa, le disposizioni liberali. Venne assicurata la libertà di stampa e la propaganda ammessa per tutte le fazioni, clericali, bonpartisti, democratici, granduchisti, mazziniani. Nelle campagne risuonava lo slogan «chi non vota non pota». Regista di quella giornata, che segnerà per sempre la perdita dell’autonomia della Toscana che giusto un anno avanti (27 aprile 1859) aveva “cacciato” il Granduca Leopoldo II, , fu il barone Bettino Ricasoli. «Gli intendenti agricoli – scrisse in quei giorni – andranno a votare a capo dei loro amministrati, il più influente proprietario rurale a capo degli uomini della sua parrocchia, il cittadino più autorevole a capo degli abitanti di un quartiere, condurranno gli eletti alle urne in file sempre disciplinate. In testa sarà la bandiera italiana». Tutto doveva svolgersi ordinatamente, dunque. E le cose andarono proprio così; i toscani avevano ritrovato l’antico senso civico e, di fronte alla storia, sapevano come comportarsi. Questa la cronaca della giornata, per voce dei corrispondenti locali, i prefetti: «Città in festa e imbandierata» (Livorno), «Grande, ordinato, dignitoso concorso al voto» (Lucca), «Concittadini salgono numerosi con bandiere» (Volterra), «Tutto procede solennemente» (Montepulciano), «La votazione prosegue con dignità» (Prato), «Il clero in numero di 50 circa si è portato a votare, ma senza apparato» (Pistoia), «Hanno desiderato assistere alla votazione un americano, un inglese e uno spagnolo. L’americano si è mostrato tanto soddisfatto» (Firenze), «La città è nel più grande entusiasmo» (Siena), «Tutto ammirabilmente bene. Anche il bel tempo arride» (Pisa).
Poi, il 15 marzo, La Corte di Cassazione convalida i risultati. A darne l’annuncio dal balcone di palazzo Vecchio Enrico Poggi, il ministro Guardasigilli. «Toscani concorsi a dare il voto 386.445», grida. Poi, preso dall’emozione per l’immensa folla in piazza della Signoria, si prende il tempo di inghiottire. «Voti per l’unione della monarchia costituzionale 366.571; voti per il regno separato 14.925; voti nulli 4.949».
L’effetto percepito dalla piazza lo raccontò mirabilmente sulle colonne de La Nazione, Carlo Lorenzini, alias Collodi: «All’apparire del ministro sulla terrazza, si fece istantaneamente un silenzio, intero, profondo, religioso, qual si conviene al compimento dei grandi riti. Giunta la lettura alla cifra dei votanti per l’unione scoppiò un grido di universale esultanza. La cifra dei 14mila dissenzienti fu accompagnata da una risata prolungatissima e clamorosa, come le risate degli eroi di Omero». Per Firenze e la Toscana quello fu e rimane un gran giorno di festa. Merito soprattutto del Barone di ferro che cinquant’anni fa convinse un popolo a seguirlo. E proprio al nobile fiorentino è dedicato il libro «Siamo Onesti. Bettino Ricasoli, il barone che volle l’unità d’Italia» che esce il 10 aprile prossimo e racconta tutta la storia dell’inventore del Chianti.
Data recensione: 11/03/2010
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Michele Taddei