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L’anno scorso in occasione del quarto centenario delle osservazioni astronomiche di Galileo Galilei si sono tenuti convegni, mostre, dibattiti, incontri, per approfondire la questione galileiana, anche all’interno della cultura cattolica, a proposito del

L’anno scorso in occasione del quarto centenario delle osservazioni astronomiche di Galileo Galilei si sono tenuti convegni, mostre, dibattiti, incontri, per approfondire la questione galileiana, anche all’interno della cultura cattolica, a proposito del rapporto tra scienza e fede. Ma nonostante tutto si rischia spesso di essere prigionieri del dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht (1898-1956), il famoso autore teatrale tedesco, uno degli intellettuali più importanti e rinomati della Germania Orientale (DDR) dove visse e morì. In quest’opera, una delle più care al suo autore e che ebbe un notevole successo, Galileo viene presentato come un rivoluzionario di tipo marxista che difende la libertà della scienza dalla strumentalizzazione messa in atto dalle autorità e vede nella scienza lo strumento per liberare il popolo dall’oppressione. Per raggiungere il suo scopo Brecht non si fa scrupoli a deformare i fatti, ed il suo Galileo ha poco in comune in quello storico. Questa vulgata brechtiana ha, purtroppo, imperversato e imperversa tuttora anche in compiacenti trasmissioni televisive. Occorre dunque andare al di là dei falsi miti che, come disse Giovanni Paolo II il 31 ottobre 1992, «hanno contribuito a radicare numerosi scienziati in buona fede nella convinzione che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca da un lato, e la fede cristiana dall’altro» e riferendosi espressamente alle vicende che portarono alla condanna di Galileo, Giovanni Paolo II parlò di «una tragica incomprensione reciproca che è stata interpretata come il riflesso di un’opposizione costitutiva tra scienza e fede» ed auspicava la prosecuzione degli studi storici per mostrare che il «doloroso»equivoco del caso Galileo apparteneva ormai al passato. Questo invito, tra gli altri, è stato raccolto dal vescovo monsignor Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio segreto vaticano, che nel 2009 non solo ha curato la nuova edizione accresciuta, rivista e annotata de I documenti vaticani del processo di Galileo galilei (1611-1714), ma ha pubblicato, per i tipi di Mauro Pagliai editore, un volume di agevole lettura sulla vicenda umana, culturale e spirituale di Galileo colta nell’angolazione del suo processo celebrato a Roma nel 1633 e culminato con la sentenza di condanna e l’abiura. Il libro, intitolato Galileo Galilei. Lo splendore e le pene di un «divin uomo», è corredato da una galleria d’immagini in cui spiccano coloro che si legano ai fatti narrativi, vi è inoltre un Appendice con i verbali originali degli interrogatori di galileo ed alcuni suoi autografi nel volume del processo, vi sono poi delle esaustive notizie biografiche dei principali personaggi nominati ed una bibliografia essenziale. L’opera di Pagano, sempre rigorosamente fondata sui documenti, muove dalle accuse di due padri domenicani, Niccolò Lorini e Tommaso Caccini, che contestano il sistema copernicano o eliocentrico, del quale è sostenitore Galileo, perchè contrario alle Sacre Scritture, di qui la denuncia al Sant’Officio. Tale contrasto con la Bibbia è il motivo che ricorre costantemente sia nell’incontro col cardinale Bellarmino del 1616 (che non fu un procedimento giudiziario, ma un colloquio che si concluse con un’ammonizione) sia del processo del 1633. Le affermazioni di Galileo, in effetti, non erano in conflitto con un dogma o un pronunciamento magistrale o un principio della legge morale naturale, bensì con alcuni passi biblici. Non era dunque propriamente una questione scientifica, ma teologica perché riguardante l’interpretazione della Sacra Scrittura. In quel momento le autorità ecclesiastiche non potevano accettare né il «libero esame», né canonizzare l’interpretazione allegorica della Scrittura. Galileo citava, a tal riguardo, il cardinale Cesare Baronio che gli avrebbe detto «l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vada in cielo, non come vada il cielo». Il problema dell’inerranza della Bibbia troverà la sua definitiva soluzione nella Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II. Nel libro di Pagano si presenta lo strano atteggiamento di Papa Urbano VII (al secolo Maffeo Barberini) nei confronti di Galileo, che passò da un’amicizia ad una avversione dura con toni anche irati. I motivi potrebbero essere diversi, non ultimo quello della protezione e della grande stima di Ferdinando II de’ Medici, Granduca di Toscana, per Galileo. Urbano VIII invece, per motivi politici, si poneva contro la Toscana e la sua dinastia. Questo saggio, come afferma lo stesso monsignor Pagano, non vuole dare una risposta alla vicenda galileiana, ma uno sfondo storico scevro da intenti polemici o apologetici ed in questo sembra pienamente riuscito.
Data recensione: 07/03/2010
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Andrea Drigani