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Santo perché giullare. Secondo Luigi Regoliosi non c’è frattura né pentimento tra le due vite di Giovanni Buono da Mantova, prima saltimbanco nelle piazze quindi monaco eremita. Così lo racconta nel libro Zanebono (Mauro Pagliai Editore).

Santo perché giullare. Secondo Luigi Regoliosi non c’è frattura né pentimento tra le due vite di Giovanni Buono da Mantova, prima saltimbanco nelle piazze quindi monaco eremita. Così lo racconta nel libro Zanebono (Mauro Pagliai Editore).
Non è una polverosa agiografia ma un testo provocatorio che ribalta la storia ufficiale — secondo cui Giovanni seppe redimersi dal suo passato di giullare, vissuto come una macchia — vestendo il santo delle incertezze e della sensibilità dell’uomo contemporaneo. Nonostante ci separino ottocento anni. È lo stesso Regoliosi ad ammetterlo, a scusarsi per questo deragliamento dalla biografia di Zanebono. L a sua vicenda è ridotta quasi a un pretesto narrativo, una scintilla per illuminare le pagine con la parabola di un antieroe fragile e complesso. Libere variazioni intorno a una leggenda che per mano dell’autore si fa mito. Giovanni si presenta al cospetto della morte, schiacciato dal ricordo. La vita non è più un domani pieno di promesse, alle sue spalle è già accaduto tutto. Davanti ci sta il pubblico, rozzo e senza fantasia, “pronto a metter mano alle pietre quando il divertimento si muta in offesa, e l’allegria in ferocia”. Perché il giullare? Zanebono le ha provate tutte: “il banchiere e l’avvocato/ il dottore e l’ammalato/ il garzone di mercato/ e il macellaio./ Il barbiere e il pellicciaio/ il pittore ed il mugnaio/ il pastore ed il fornaio/ il santone e l’usuraio/ un fallimento./ Ora gioco e sono contento perché libero mi sento./ Vado dove spinge il vento/ non ho soldi e non mi pento/ è la mia faccia./ Son Giovanni la linguaccia/ dei bugiardi vado a caccia/ impossibile che taccia se qualcuno mi minaccia/ un... dispiacere./ Se qualcuno vuol sapere/ perché fo questo mestiere...”. Poesia, copione, incubo, diario, Regoliosi piega il testo a uno stile personalissimo. Scava nella vita del giullare per scivolare in quella del santo, quasi tra le due corresse una galleria dai fianchi lisci. L’inchiostro dell’autore è come un fiume carsico, che riscrive la vicenda di Zanebono fino a sovrapporla alla propria. E approdare alla consapevolezza che “vivere è darsi”. Al pubblico, a Dio, a se stesso.  
Data recensione: 03/01/2010
Testata Giornalistica: La Gazzetta di Mantova
Autore: ––