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Che cosa ci siamo persi, relegando Fosco Maraini fin quasi all’ inizio degli anni Ottanta in un ruolo di eclettico che peraltro gli si confaceva? Un ruolo che lo avrebbe reso una celebrità nei paesi anglosassoni e che da noi, invece, lo ha costretto ai ma

Che cosa ci siamo persi, relegando Fosco Maraini fin quasi all’ inizio degli anni Ottanta in un ruolo di eclettico che peraltro gli si confaceva? Un ruolo che lo avrebbe reso una celebrità nei paesi anglosassoni e che da noi, invece, lo ha costretto ai margini del dibattito culturale, assai apprezzato da diverse categorie di persone - gli appassionati di montagna, di antropologia, di cose giapponesi - e quasi sconosciuto invece agli altri. La sua fama è arrivata tardi, quasi novantenne - soprattutto con l’uscita della sua autobiografia romanzata, Case, amori, universi, nel 1999 - e com’è d’uso fu perfino esagerata tra chi prima mai ne aveva frequentato le opere. Non solo i libri, che pure sono stati molti e di grandissimo interesse, ma le fotografie per prime e i bellissimi documentari. La mostra «Il Miramondo», allestita fino al 24 gennaio al Museo Clizia di Chivasso, nel Palazzo Luigi Einaudi, in piazza d’Armi 6, è l’occasione per conoscerne le immagini, mescolate secondo criteri che rendono la visita imperdibile anche per chi già le ha ammirate. Non tanto una divisione cronologica, né geografica o per rigidi argomenti, ma secondo temi poetici scelti dall’autore stesso (l’esposizione è stata ordinata da lui qualche anno prima di morire, nel 2004) «Firenze Kyoto, città parallele», per dire, cercando nei due universi a lui più cari punti di vista omologhi (anche se queste foto a colori, più recenti, sono meno interessanti di quelle degli anni Trenta e Quaranta). O il turbinio di facce che mette assieme, nel capitolo «Volti, gesti, profili», sensali siciliane e portatori baltì, statue di santi siracusane e samurai, occhi in pietra del Buddha e bambine kafire. C’è in tutte le sue immagini, costante, una ricerca artistica che deriva dalla sua frequentazione del futurista Thayaht, in ritratti come quello della sorella Karamazov riflessa nello specchio, del 1928, ma anche in altre seguenti, gli straordinari stendardi con preghiere che attraversano in diagonale un quasi nero cielo tibetano, del 1948, o le reti stese ad asciugare in Giappone, degli anni Sessanta. Bellissimo, tra la pace di un tempio di Kyoto e l’intensità grafica di una biblioteca tibetana, ecco il chiaroscuro ripreso dall’ alto della cattedrale di Monreale, un fascio di luce che scende da un arco a illuminare il pavimento e lì, come disegnate sul mosaico, cinque piccole monache con i grandi cappelli bianchi ad ali spiegate. Da non perdere, come non va perduto il catalogo di Pagliai Polistampa, da sfogliare più volte nella vita.
Data recensione: 03/01/2010
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Leonardo Bizzarro