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Questo di Giuliano Parenti è un romanzo satirico sulla televisione, sulla realtà parallela creata dalla finzione televisiva e che poi tanto parallela non è perché finisce per interferire con la vita reale. È un romanzo ironico,

Questo di Giuliano Parenti è un romanzo satirico sulla televisione, sulla realtà parallela creata dalla finzione televisiva e che poi tanto parallela non è perché finisce per interferire con la vita reale. È un romanzo ironico, divertente, rocambolesco, pieno di colpi di scena, di ribaltamenti tra virtuale e reale, televisivo e vissuto quotidiano. Il protagonista, Other Berlina, è un attore che ha la caratteristica saliente di essere un attore negato, con una faccia inespressiva, sempre uguale, ferma. Paradossalmente è questo che gli permette di essere notato a un provino ed è questo che diventerà il suo cavallo di battaglia. Un incrocio, dice il regista Hans Cristian Coltellas – altro personaggio fondamentale del romanzo – fra l’inespressività di Umphrey Bogart e il dinamismo forsennato del primo Sean Connery. Quindi: gran movimento, grande atletismo, azioni mozzafiato e una faccia che non dice nulla, che non esprime nulla, neanche la noia o la fatica. È questa la fortuna di Other (da notare il nome) e del personaggio televisivo che interpreta, il commissario Quapur. Other si ritrova così a fare una vita da star, guadagna montagne di soldi, è costretto a camuffarsi per sfuggire ai fans, è lusingato dalle ammiratrici. Qui entra in gioco un altro personaggio chiave del libro, Mery Effy, che diventa la sua amante. Donna eccentrica e ricca, dirige una linea di profumi, ama i travestimenti e le parrucche (poi si scoprirà perché) e trascina Other in una avventura extraconiugale lussuosa, romantica, dispendiosissima e basata sul patto di non chiedere mai nulla all’altro che riguardi le rispettive famiglie, le rispettive vite private. In sostanza una relazione che cerca di escludere rigidamente le intrusioni della vita reale, della banalità quotidiana e si confina in un piccolo “grande” albergo e all’interno di questo si sigilla nella stanza più ricercata, più ambita. Ma qui, nella stanza d’albergo, cominciano – o forse meglio dire che si fanno ancora più eclatanti – i paradossi. Perché Mery Effy comincia ad arredare la camera come se fosse di sua proprietà e a un certo punto della storia rientra in camera con un sacchetto della spesa dopo essere stata al supermercato. Cioè tradisce un desiderio di autenticità che è insopprimibile. E tuttavia continua ostinata nella finzione, nell’artificio di questo amore tagliato fuori dal resto del mondo, dal contingente, un amore assoluto ma fragilissimo. Simbolo di questo modo di stare insieme, di questo amore sui generis, è il rituale di accoppiamento di Other e di Mery, che prevede preliminari lunghissimi, ore e ore di preliminari e poi una congiunzione che è soltanto un dolcissimo vibrare di organi, non un movimento vero e proprio, solo un vibrare che produce una musica: la passacaglia in do di Bach (e qui si sconfina un poco verso il realismo magico). Per Mery l’atto sessuale come tutti lo concepiscono è triviale, basso, le ricorda i martelli pneumatici degli stradini, è puzzo di catrame. Comunque la realtà è destinata ad invadere anche questa gabbia dorata: l’unica volta che fanno l’amore in maniera tradizionale-animalesca, rimangono dolorosamente incastrati e lei oltretutto concepisce un bambino. Il tema ironico-sentimentale si alterna così alle vicissitudini televisive, ma quando Other si accorge di comportarsi nella vita reale come il personaggio che interpreta nella finzione entra in crisi, è un inizio di nevrosi. Il fatto è che la pressione del pubblico è enorme, la legge dell’auditel macina tutto, determina le mosse del regista, le sue strategie, lo induce a pianificare un certo andamento delle avventure invece che un altro e incide profondamente anche sulla psiche dell’attore che, per la apparente facilità di “lasciarsi vivere” (frase che ritorna spesso) finisce al contrario per perdersi. Al termine della storia Other si riscatta, riesce ad imprimere una svolta alla sua vita e riesce anche a dare una coloritura etica alle finzioni che interpreta, cioè riesce a fare sì che le indagini del commissario Quapur si concludano con l’arresto di veri criminali. Quindi c’è anche il lieto fine, un non-eroe, un personaggio non cattivo ma un po’ inerte, passivo, riesce ad assumersi delle responsabilità e a svolgere un ruolo attivo sia nella vita privata che in quella pubblica. Resta però la grande girandola di avvenimenti contraddittori che è stata la sua vita: la sua doppia esistenza di uomo senza qualità e eroe televisivo; di uomo sposato con figlie che però conduce una vita sentimentale parallela. E soprattutto viene da chiedersi quale sia diventata la funzione della televisione, dove finisca l’intrattenimento e inizi il gioco sugli appetiti più bassi del pubblico; se sia lo spettatore da considerarsi un fine o un mezzo; se gli si voglia comunicare qualcosa di buono (o anche solo decente) o andare incontro ai suoi desideri. Anche la struttura formale del libro corre su due piani: quello della storia narrata e quello dei capitoletti con il testo incolonnato; non sono versi, diciamo che è una prosa di carattere diverso, non narrativo ma piuttosto riflessivo-argomentativo, in cui il protagonista cerca di fissare le propri coordinate nel mondo, specula sui massimi sistemi e in cui – mi permetto di dire – l’autore fa coincidere la propria voce con quella del personaggio. Alessandro Trasciatti
Data recensione: 08/09/2009
Testata Giornalistica: Il Trasciatti
Autore: ––