chiudi

Che cosa ci fanno Dante Alighieri, il sommo poeta, e Musciatto, un garzone diventato banchiere e consigliere del re di Francia Filippo il Bello, nello stesso romanzo?

Che cosa ci fanno Dante Alighieri, il sommo poeta, e Musciatto, un garzone diventato banchiere e consigliere del re di Francia Filippo il Bello, nello stesso romanzo? A unirli, ne L’imperfetto assoluto, l’ultimo libro di Riccardo Nencini, è prima di tutto Firenze. Qui Musciatto arriva dalla Francia al seguito di Carlo di Valois; da qui Dante viene esiliato. A far quasi incontrare le loro strade sono le intricate trame storiche dei primi anni del 1300, su cui il libro si basa in modo molto preciso. Nencini è autore dei saggi storici Corrotti e corruttori nel tempo antico (1993) e Il tronfo del trasformismo (1996), del romanzo vincitore del Premio Selezione Bancarella Sport Il giallo e il rosa (1999), del romanzo storico La battaglia. Guelfi e Ghibellini a Campaldino nel sabato di san Barnaba (2001) e di Oriana Fallaci. Morirò in piedi (2007).
L’imperfetto assoluto, pubblicato da Mauro Pagliai Editore, è stato presentatoil 6 luglio dello scorso anno a Firenze in piazza della Repubblica, in una serata organizzata dalla casa editrice in collaborazione con il Comune di Firenze e la libreria Edison. Presenti, oltre all’autore, anche lo storico fiorentino Franco Cardini e il giovane poeta Federico Berlincioni, che ha scritto i quindici sonetti stilnovistici contenuti nel libro.
La storia, come ha sottolineato Nencini salutando i sindaci delle due città, inzia a Firenze e finisce a Scarperia. Gli anni sono i primi del XIV secolo: dal 1031 al 1306. Quelli cioè in cui Musciatto si trova a Firenze e incrocia i propri passi con eventi che hanno segnato la storia. L’esilio di Dante, lo schiaffo di Anagni e i tradimenti di Bonifacio VIII, la nascita dello stato nazionale in Francia e l’inizio del processo ai Templari, la guerra civile a Firenze, la supremazia del fiorino.
La storia di Musciatto è quella di un uomo che si è fatto da solo, colpevole di tante malefatte – Cardini lo definisce un “tagliagole morale” – eppure arrivato ad ottenere l’ambito titolo di Chevalier du Roi. Una storia che si basa su un manoscritto realmente esistente, trovato a Londra nel Seicento e riapparso alla biblioteca nazionale di Firenze durante l’alluvione nel 1966. Un romanzo storico “anomalo”, sottolinea Cardini, proprio perché l’autore rovescia il canone tradizionale del genere, che di solito fa ricorso a un “falso manoscritto” come motore della narrazione.
Le vicende di Musciatto, spiega Nencini, “piacerebbero molto agli americani di oggi”, costantemente attratti dalla figura del self made man. Musciatto è figlio di un masnadiero figlinese e si chiama in realtà Ciampolo della Foresta. È a Parigi, dove viene mandato dal padre a fare il garzone in una banca insieme al fratello, che cambia nome e si fa chiamare Musciatto (come un tipo di zucchero) dei Franzesi, cioè dei Francesi. Il grande salto, la scalata sociale da ragazzo di bottega a banchiere e consigliere del re di Francia Filippo il Bello e del fratello Carlo di Valois, Musciatto la compie grazie alla sua intraprendenza e alla sua sfrontatezza. “Avido, aguzzino dei suoi debitori, strozzino, mentitore, ricattatore dei potenti, del re di Francia, del papa, del re di Napoli”, così lo descrive Cardini.
La figura di Musciatto, di cui, racconta Nencini, “molti storici hanno discusso”, è passata alla storia grazie anche al Decamerone di Boccaccio. Di lui troviamo infatti traccia nella prima novella, quella di Ser Ciappelletto, il notaio malvagio che riesce a farsi santificare grazie a una falsa confessione in punto di morte. A Ciappelletto, Musciatto si affida per riscuotere i crediti a Parigi.
Musciatto arriva a Firenze nel 1301, al seguito di Carlo di Valois. Con loro c’è anche Cante dei Gabrielli da Gubbio, che pochi mesi dopo diventerà podestà di Firenze e condannerà Dante Alighieri nel Gennaio 1302. Una missione, quella di Carlo di Valois, sponsorizzata dallo stesso papa Bonifacio VIII, con lo scopo di prendere il controllo di una città in preda alle lotte politiche.
Quando viene condannato all’esilio, all’estradizione perpetua dai pubblici uffici e al pagamento di un’ammenda, Dante non è a Firenze. Si trova a Roma, dove il papa lo trattiene perché non vuole che interferisca nelle trame politiche fiorentine. E il poeta probabilmente non ritornerà più nella città natale: due mesi dopo sarà infatti condannato a morte in contumacia. Inizia così l’inquieto e doloroso peregrinare di Dante, la lontananza dagli affetti e dalla sua città.
Fedrico Berlincioni, ventuno anni, è il poeta che ha scritto i quindici sonetti nella lingua del Dolce Stil Novo dedicati a Dante Alighieri. Un lavoro molto complesso, durato cinque anni. Nelle poesia, Berlincioni parla soprattutto dei sentimenti di Dante, “dell’amore e del dolore, che sono due componenti essenziali di tutta la poesia”.
“Il mio compito – spiega il poeta – è stato quello di dire ciò che Dante avrebbe dovuto dire, perché era logico che lo dicesse, e che invece lui non ha mai scritto”. Parlare cioè della moglie e dei figli, della sua esistenza di esule dalla città natale. “A fronte di una produzione letteraria molto ampia – spiega Berlincioni – Dante cita l’esilio, avvenimento centrale della sua vita, solo poche volte. Nella Commedia ne parla sette o otto volte, e mai con enfasi”.
Più di un elemento unisce o almeno avvicina le strade di Dante e Musciatto. “A Firenze Musciatto è una sorta di consigliere prediletto di Carlo di Valois. Non possiamo attribuire a lui il bando di Dante dalla città, ma è difficile escludere un ruolo, una funzione di Musciatto”, racconta Nencini. Ma non è finita qui. “Quando muore Beatrice, la donna amata da Dante, Musciatto dà in sposa al marito, Simone de’ Bardi, la sorella”. Impossibile non pensare che Dante conoscesse Musciatto, almeno perle sue azioni. E che lo abbia odiato.
Dante e Musciatto hanno due rapporti diversi con l’imperfezione a cui fa riferimento il titolo. Dante è figura perfetta per antonomasia, ma è anche un uomo, e dunque imperfetto per definizione. Per raggiungere un risultato così alto come la Commedia, deve prima toccare il fondo: l’esilio,la disperazione, la solitudine. Musciatto è l’imperfezione fatta persona. Solo alla fine del romanzo diventa migliore e si avvicina a una perfezione ancora lontana sacrificando la vita per proteggere il suo re.
Due figure che ci stupiscono con tutta la loro attualità e di cui oggi abbiamo urgentemente bisogno: degli esempi di quasi perfezione come Dante, ma anche degli imperfetti come Musciatto, che cade in disgrazia per salvare Filippo il Bello. “Chi è nelle posizioni di responsabilità – dice Nencini rivolgendosi a Matteo Renzi e Sandra Galazzo, sindaco di Scarperia – spesso non vuol sapere. Ma per non voler sapere deve avere accanto persone disponibili a sacrificarsi e a rischiare come Musciatto”.
Musciatto Franzesi ha contribuito a sfare e disfare le trame politiche del suo tempo. È stato ambasciatore del papa in Inghilterra. Un suo braccio destro, un brigante, è stato colui che ha venduto le prime informazioni utili per avviare il processo ai templari. Ed era di Musciatto il castello a Staggia in cui venne ideato il celebre schiaffo di Anagni, l’attacco di Filippo il Bello a Bonifacio VIII.
Nella storia de L’imperfetto assoluto non ci sono un eroe e un antieroe, un buono e un cattivo, ma piuttosto, come ben sintetizza Cardini, “in cui il bene e il male sono impastati”. Caratteristica imprescindibile di tutto il genere umano. E il valore del libro sta proprio qui, nel riuscire a raccontare la natura dell’umanità attraverso una storia ambientata sette secoli fa.
Aspetto non trascurabile del romanzo è poi la descrizione di Firenze. Come spiega Nencini, la Firenze del 1300 “era molto diversa da com’è stata rappresentata. La città era piccola e super abitata. In piazza Santissima Annunziata, così come in piazza della Libertà e Oltrarno c’erano ancora orti e vigne. In quegli anni stava iniziando a operare a Firenze Arnolfo di Cambio, a cui sarebbero state affidate le opere civili e religiose più importanti, che avrebbero segnato la città del tempo futuro”.
Una città ancora lontana dagli splendori dei tempi successivi. “Una Firenze livida di potere e ferita dalla guerra civile. Eppure affascinante e superba”, racconta Cardini. Nella città del 1300 però, si trovava già il segreto del suo splendore futuro, che non può essere solo ricondotto alla florida industria manifatturiera. “A Firenze, quasi tutti i bambini e le bambine imparavano a scrivere, a leggere e a far di conto. Questo significa generare forme di ingegno e creatività che non avevano uguali nelle città del tardo medioevo e che non avranno uguali in altre città alla nascita del Rinascimento. Questo fa di Firenze una straordinaria novità”, spiega Nencini.
La frase più bella su Firenze, la città che accoglie Musciatto e allontana Dante, la capitale della cultura, il luogo dove, come dice Cardini, “si concentrano tutta l’avidità e la genialità del mondo”, la dice Bonifacio VIII a Musciatto. “Esistono cinque elementi – dice il papa – e non quattro. Aria, acqua, terra, fuoco. Il quinto elemento sono i Fiorentini”.
Data recensione: 01/01/2010
Testata Giornalistica: Dimensione D
Autore: Vania Partilora