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Scrivendo nel 1999, a ridosso del ventennale dell’assassino di Aldo Moro, lo storico Giovanni Sabatucci (miti e storia dell’Italia unita) constatava con amarezza che nonostante i processi, le indagini, le ricerche e le molte

Scrivendo nel 1999, a ridosso del ventennale dell’assassino di Aldo Moro, lo storico Giovanni Sabatucci (miti e storia dell’Italia unita) constatava con amarezza che nonostante i processi, le indagini, le ricerche e le molte molte voci di corridoio, il caso Moro rimaneva circondato da troppi misteri, avvolto in una nebbia di illazioni in cui si perdevano risposte e logiche criminali, ma in cui abbondavano, in compenso, ambiguità e pettegolezzi. A trentuno anni dal rapimento e dall’uccisione dello statista democristiano, molte domande restano inevase, mentre si rincorrono le ipotesi sulle trame e i complotti più diversi. Anche per porre un punto fermo su uno degli episodi più emblematici e oscuri dell’Italia repubblicana, nel marzo dell’anno scorso a Cento, in provincia di Ferrara, era stato organizzato un convegno promosso dall’Università di Ferrara e dal Centro studi sull’Europa orientale di Levico Terme (Il delitto Moro: golpe internazionale o terrorismo italiano?): di questo convegno escono in questi giorni in libreria gli atti, riuniti in un volume, Le vene aperte del caso Moro. Terrorismo, Pci trame e servizi segreti (editore Pagliai), destinato a influire non poco sul dibattito pubblico attorno al «mistero Moro». Innanzitutto perché al convegno di Cento erano riuniti storici, giornalisti, magistrati, politologi con prospettive enormemente diverse, in grado dunque di coprire l’amplissimo ventaglio di opinioni che sulla fine di Moro sono sempre circolate ( e circolano tutt’ora). In secondo luogo perché si trattò di un convegno di studio, caratterizzato da un clima di rigore e autorevolezza transitato nel volume, curato da Salvatore Sechi. Tra i promotori del convegno di Cento, e autore di un lungo saggio nel volume, c’è anche Federico Orlandi, presidente del Csseo di Levico, che sull’importanza del convegno e del volume non ha dubbi. «Abbiamo riunito figure di estrema competenza, anche se di orientamento molto differente, accomunate dall’aver lavorato per anni sul caso Moro. Basti ricordare che nella discussione si sono scontrate teorie radicalmente opposte: chi ha ricordato, citando le carte della Cia, che gli americani non avevano la possibilità di portare avanti operazioni del genere. Il risultato è stata una polifonia di opinioni esposte e dibattute con metodo e serietà».
Fra i tanti teoremi in campo sul caso Moro compare ad un certo punto anche la cosiddetta «pista cecoslovacca» per cui si ipotizza un mandante oltre cortina.«Alla pista cecoslovacca ho dedicato il mio saggio, A Praga! Storia, leggende e malcostume di una vicenda italiana, in cui mi occupo non solo delle voci sul ruolo dei Paesi del blocco comunista nel delitto Moro, ma ripercorro anche la storia della molte ipotesi di complotto eversivi anti-italiano che avrebbero trovato nella Cecoslovacchia comunista, dal Dopoguerra in avanti, la loro culla».
Quello che lei sta dicendo è che in Italia si creò, nel dopoguerra una sorta di ossessione da colpo di Stato comunista, così come nel primo si era avuta la paranoia da eversione bolscevica?
«Nella Cecoslovacchia dell’immediato secondo dopoguerra avevano trovato riparo molti militanti comunisti condannati per fatti di sangue commessi dopo la fine della guerra, dalla “volante rossa” milanese ai delitti del triangolo rosso. Questo concentramento di rifugiati fu all’origine della mitologia che li voleva in addestramento per futuri scenari eversivi. Bisogna anche considerare la natura aggressiva della politica dell’Urss, e quindi dei Paesi del Patto di Varsavia, a partire specialmente dal 1951, con la decisione di avviare una politica di forte riarmo e di minaccia militare, a fronte di un’Europa ancora relativamente smilitarizzata, e sopratutto molto permeabile alle trame dello spionaggio filo sovietico».
Fu questo a fare della Cecoslovacchia il terreno privilegiato delle ipotesi di complotto anti-italiano?«Direi di sì, anche in assenza di ogni reale riscontro politico. Per quello che riguarda lo specifico del caso Moro, invece, tutto cominciò quando, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, per coprire il ruolo di un infiltrato dei servizi segreti (il famoso “frate mitra”) si inventò che i due militanti erano stati seguiti “fin dal loro rientro in Italia”, un’affermazione dell’allora capitano Pignero che venne poi arricchita con l’indicazione della Cecoslovacchia come luogo di provenienza». Ma da allora nessuno si è mai preoccupato di trovare un riscontro documentario?
«Dal 1989 le carte degli archivi dell’ex Patto di Varsavia sono per lo più accessibili. Ma che io sappia solo uno studioso britannico si è impegnato in una ricerca sistematica relativa al periodo del terrorismo in Italia, nel nostro Paese si preferisce ancora cedere al richiamo delle teorie complottistiche, dotate evidentemente di un loro fascino intrinseco, su cui s’innestano molta polemica politica e molta dietrologia. Un fenomeno tutto italiano».
Data recensione: 27/05/2009
Testata Giornalistica: Corriere della Sera
Autore: Marco Mondini