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L’inviato speciale è il giornalista che ha un appuntamento con la Storia. Non sempre questo rendez vous ha risvolti fortunati come quelli che mesi addietro hanno concluso l’avventura d’un giornalista italiano (ma solo

di Orsola Giancarelli e Teresa Berlingieri L’inviato speciale è il giornalista che ha un appuntamento con la Storia. Non sempre questo rendez vous ha risvolti fortunati come quelli che mesi addietro hanno concluso l’avventura d’un giornalista italiano (ma solo per lui). Non per niente coloro che sono considerati i padri della categoria, il drammaturgo Louis Racine e lo scrittore Nicolas Boileau, costretti a seguire il re sole nella guerra contro la lega di Augusta, se ne stavano nelle retrovie impassibili ai rimproveri del monarca.Prendendo dimestichezza con la Storia, i successori dei due primi inviati divennero più arditi e audaci.  L’ americano Henry Morton Stanley, sollecitato da Gordon Bennett, direttore del “New York Herald”, attraversò mezza Africa nera superando minacciosi pericoli per rintracciare il dottor David Lingstone, mentre l’inglese William Howard Russell, rischiò la galera sotto l’accusa d’inteligenza con il nemico russo, per fornire ai suoi lettori dettagliate notizie sulle forze armate dell’Inghilterra nella guerra di Crimea. Ai rischi cui è esposta la professione non sfuggì Luigi Barzini, il padre degli inviati speciali italiani che, arrestato dai francesi nel 1914, fu sul punto di finire davanti al plotone d’esecuzione.Barzini è stato il più importante esponente della Stampa italiana, colui che ne rinnovò il linguaggio.Egli portò nel nostro giornalismo un nuovo modello di scrittura (mutuato dal mondo anglosassone) di cui si dotò durante il periodo vissuto a Londra come corrispondente e poi con la frequentazione dei più importanti colleghi di tutto il mondo.Assunto nel 1899 al “Corriere della Sera”. ebbe la fortuna d’essere inviato nella capitale inglese da Luigi Albertini che, con idee molto chiare sul giornale che voleva fare, aveva progettato d’inserire il foglio di via Verri nel solco del giornalismo europeo. La rivolta dei boxer in Cina, rivela nel 1900 le geniali qualità del giovane di Orvieto. Da quel momento non c’è avvenimento nazionale e internazionale che  non lo veda in prima fila tra gli inviati: la guerra russo-giapponese, il raid Pechino-Parigi, il terremoto di Messina, la prima trasvolata delle Alpi, le guerre di Libia e dei Balcani, l’apertura del canale di Panama e la rivoluzione messicana del 1914, lo stesso evento in cui sono presenti John Reed (l’autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo) e Jack London. E poi la prima guerra mondiale, il trattato di Versailles, la crisi dell’Alto Adige. Originale per l’epoca il taglio delle sue “lettere” dalla Transiberiana, dall’Argentina, dal Libano, dal Marocco, dagli Stati Uniti d’America, dalla Scandinavia, dalla Russia zarista e da quella Sovietica e da numerose altre parti del mondo in cui sono riassunte acute osservazioni sulle diverse nazioni che l’italiano medio d’allora conosceva solo attraverso il perpetuarsi dei luoghi comuni.Il barzinismo, deprecato da Mussolini ma ammirato da Giuseppe Prezzolini, sarà uno stile imitato da molti giornalisti italiani a partire dalla guerra russo-giapponese del 1904 fino agli anni Venti, quando il celebre inviato si reca in America per dirigere un giornale, esperienza che si conclude negativamente Rientrato in Italia, s’intruppò nel regime il quale gli affidò dapprima la direzione del “Mattino” di Napoli (da cui fu subito licenziato per una gaffe di Mussolini), poi lo nominò senatore e, infine, vanificando i suoi numerosi tentativi di diventare direttore del “Corriere della Sera” (ma i Crespi non lo volevano) lo assunse al “Popolo d’Italia” dove tornò a fare l’inviato durante la seconda guerra mondiale. Morirà suicida a Milano nel 1947.
Nel libro di Magrì, l’esistenza del grande giornalista, s’intreccia con le vicende del giornalismo italiano, lo sviluppo del “Corriere della Sera”, i travagli della sua vita privata sempre in giro e lontano dalla famiglia. Oltre al grande amore che lo lega alla moglie, la scrittrice Mantica Pesavento, dalla loro corrispondenza emergono i loro “normali”, periodici, screzi e dissensi (che nel loro caso diventano singolari per via delle cadenze postali cui sono costretti i due nel dare sfogo ai loro malumori e nel suggellare le rappacificazioni), la sua subordinazione al direttore, le sue insicurezze che si manifestano con i dubbi circa la sua capacità di produrre articoli adeguati al costo delle lunghe e dispendiose trasferte, i maniacali timori d’essere licenziato per scarso rendimento.
Data recensione: 21/10/2008
Testata Giornalistica: La mescolanza
Autore: Cesare Lanza