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Accingersi a recensire un romanzo edito recentemente, che sia d’ispirazione cristiana, è un’ardua impresa perché non ce ne sono molti; ecco perché, quando s’incappa in uno di questi, è bene farlo conoscere al grande

Accingersi a recensire un romanzo edito recentemente, che sia d’ispirazione cristiana, è un’ardua impresa perché non ce ne sono molti; ecco perché, quando s’incappa in uno di questi, è bene farlo conoscere al grande pubblico. È questo il caso di Conversione1: l’editore Antonio Pagliai ci regala, riveduti dall’autore e uniti in un unico volume con un nuovo titolo, i due libri che lo lanciarono al pubblico: Muro d’ombra (1974) e Giorno segreto (1975). In più, il volume ospita due saggi d’eccezione (per la mano di Luca Nannipieri e di padre Ferdinando Castelli). Con la sua penna, Doni ci conduce subito in medias res: Marco De Lillo è un industriale di mezz’età, sposato e con due figli grandi, che durante un incidente accaduto mentre sta sciando si rompe un piede. La sciagura (perché così da lui viene vissuta) lo rende docile verso il lungo periodo che gli si prospetta davanti, fatto di tempi più dilatati, di convalescenza e di riposo; desideroso di trovare le risposte a quei perché della sua vita che ha sempre tralasciato, ecco che la frattura al piede (lo stesso piede rotto 31 anni prima durante la guerra) diviene in lui occasione per curare la ferita della sua anima, divisa tra pusillanimità e desiderio di grandezza. Marco è un uomo scisso, in tutto il libro, schiacciato dal continuo senso di colpa e d’inadeguatezza. Conteso tra l’amore fedele della moglie Clara e l’affetto riconoscente dell’ex amante Giulia (la cui storia con lei è destinata a rimanere aperta a causa dell’esistenza di un figlio), divide il suo tempo tra i figli legittimi e quello naturale, e porta avanti questa sua dicotomia anche sul lavoro: lui, ricco industriale con incarichi politici, si trova poco alla volta (man mano che la conversione procede dentro di lui) a prendere le distanze dal suo mondo fatto di caste e privilegi (bellissime le pagine in cui Doni descrive la società italiana degli anni settanta che, per certi aspetti, ricorda quella odierna), e a desiderare di mettere in opera un’economia di comunione, dividendo i profitti con i suoi stessi operai. C’è un’enorme carica profetica in questo libro: protagonista è un padre di famiglia (e non un religioso o un sacerdote come in molti romanzi cattolici, da Chesterton a Pomilio allo stesso Doni di Servo Inutile), che sulla scia del rinnovamento spirituale della Chiesa (ne è traccia il giovane gesuita padre Alberigo, «la luce di un animo interamente donato agli altri»2, figura di Cristo disposto a sacrificarsi per i suoi amici) compie il suo personale cammino di «conversione». Un cammino che non è mai un punto di approdo verso una qualche forma di sicurezza, per non farci dimenticare le parole di Gesù: «gli uccelli hanno dove posare il capo, il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8, 20). Il protagonista, dunque, un laico, giunge persino a profetizzare l’avvento di una nuova stagione di rinascita spirituale per la Chiesa, realizzatasi poi così macroscopicamente con Papa Giovanni Paolo II; come non vedere, nelle parole di Marco, il Papa venuto dall’Est? «Dà a questi nostri giovani, soprattutto a loro, la santità, e un santo, un grande santo, che sia uno di loro, che molti riconoscano, che noi, non più giovani, pure lo riconosciamo, e ci mettiamo al suo seguito».3 La famiglia allargata di Marco (e come la sua, oggi ce ne sono tante), alla fine del romanzo ne uscirà rafforzata, ma a caro prezzo: rimetterne insieme i cocci non sarà indolore. L’unica cosa vera è che il male fa male, che il male si trasmette a macchia d’olio, che ne sono vittima i più deboli, i figli, i più poveri d’affetto nella relazione con il mondo degli adulti. E che la soluzione non è l’individualismo, il rifarsi una vita da soli, ma è la riconciliazione, con sé e con gli altri; il perdono in famiglia, la carità nella società civile. È la rivoluzione cristiana. C’è in questo libro una nota di fondo che permea tutta l’opera, una sottile inquietudine data dal fatto che non si assiste a nessun miracolo, a nessun misticismo. La fede è un dono sofferto, da rinnovare ogni giorno, è la fatica di oltrepassare il «muro d’ombra» della solitudine esistenziale. Ma è anche abbandono fiducioso alla divina provvidenza, consapevoli che essa esiste veramente e governa il corso della storia; che dopo il buio della notte, del dubbio, del groviglio esistenziale, Dio sa trarre il giorno nuovo della rinascita, perché la speranza non può mai venir meno. E’ un libro che può risultare impegnativo come lettura, perché non concede nulla alla narrativa facile che strizza l’occhio ai suoi lettori, che sfodera trame avvincenti e colpi di scena mozzafiato, ma che ha la profondità di una pozza d’acqua. Doni fa tutt’altro: con frasi snelle, con una narrazione calibrata che si alterna fra prima e terza persona per meglio seguire il dramma esistenziale e umano del protagonista, ci prende per mano e ci guida nella lettura; la via per cui ci conduce è agevole, espressiva, piena di significato. Quando il libro si chiude, è impossibile non sentirsi un po’ cambiati, in meglio.
Data recensione: 15/10/2008
Testata Giornalistica: Pensare i/n libri
Autore: Elisabetta Modena