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Tra i “vecchi fusti” del giornalismo, Luigi Barzini fa la sua bella figura. E la sua vicenda di cronista dei più importanti eventi del Novecento è davvero esemplare. Anche perché inventò uno stile della comunicazione (da

Tra i “vecchi fusti” del giornalismo, Luigi Barzini fa la sua bella figura. E la sua vicenda di cronista dei più importanti eventi del Novecento è davvero esemplare. Anche perché inventò uno stile della comunicazione (da tanti, e quasi sempre invano, imitato) e lui stesso, come uomo, un certo “stile” lo ebbe. Anche quando l’appassionato amore per il giornalismo, lo spirito di disciplina, lo sviscerato amore per il «Corriere» e il senso dell’opportunità politica gli imposero qualche rinuncia al naturale “spirito libero”.Una domanda su tutte: fu un fascista “convinto”?Guardiamo. Il 28 ottobre del 1923, nel primo anniversario della Marcia su Roma, il Nostro è a New York (dove dirigerà, fino al 1931, il «Corriere d’America») e da qui invia al Duce un telegramma grondante di italico entusiasmo: “Mai mi sentii figlio di una Patria così rispettata e apprezzata come ora”.È sincero: Mussolini gli piace da sempre. Tanto è vero che il 21 aprile di due anni dopo la sua prestigiosa firma appare in calce al Manifesto degli intellettuali fascisti, vergato da Giovanni Gentile, idealista rivoluzionario in camicia nera.Invece, a Luigi Albertini, che del «Corriere» è (ma ancora per poco) il direttore, Mussolini non piace più. Crocianamente, ha a suo tempo mostrato un atteggiamento di “benevola attesa” nei confronti del restauratore dell’ordine contro la “minaccia bolscevica”; ma adesso che l’ex sovversivo di Predappio marcia verso l’autoritarismo antiborghese e illiberale, altrettanto crocianamente ne prende le distanze in difesa dell’Ancien Régime. E il primo maggio del ‘25 firma sul «Mondo» il Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto, per l’appunto, da Croce, amico-nemico di Gentile, e idealista conservatore in doppiopetto.Dunque, due Luigi “l’un contro l’altro armati”? In realtà non è così. Amicizia e stima possono soffrire per conflittuali scelte di campo, ma è difficile che avvizziscano e muoiano quando durano da cinque lustri. E quanto a confermarne la robustezza c’è da sempre un amore condiviso: Il «Corriere».Ecco, in fondo il libro di Enzo Magrì è proprio la storia di questa passione: il giornale. “Quel” giornale, che sarebbe diventato soprattutto grazie a loro il quotidiano d’Italia più diffuso e più autorevole: una sorta di “piccola chiesa” liberale dove non si teme di rivolgersi ai governanti con pacatezza ma anche con determinazione e con qualche richiamo ammonitore, e dove si plasmano i lettori, governati con sapiente, lungimirante paternalismo. Per l’appunto, “autorevolmente”.Oddio, nel 1899, quando vi approda Luigi, il «Corriere» ancora non spadroneggia. Anzi, deve vedersela col radicale «Secolo». Impresa non facile visto che, passata la stagione Torelli-Viollier, il nuovo direttore, Domenico Oliva, non rivela spiccate doti organizzative . Ma a riempire i c’è un vivacissimo segretario di redazione, appena ventottenne: quel Luigi Albertini destinato a diventare allo scoccar del secolo, dominus et rex del quotidiano milanese. Grazie non soltanto al suo energico decisionismo, ma anche a quell’impareggiabile futuro di talent scout, che gli fa mettere a fuoco immediatamente le qualità di Luigi Barzini, venticinque anni, orvietano, di famiglia modesta, giornalista “per caso”. Proprio così, visto che, venuto a Roma in bici in cerca di lavoro, incontra un amico che gli propone che gli propone di collaborare a un giornaletto della capitale, «Il Fanfulla».Perché no?, risponde Luigi. E così scrive i primi pezzi e ce la mette tutta. Infatti riesce anche a intervistare Adelina Patti, Diva del Bel Canto, che ai gazzettieri si negava spesso e volentieri, ma che per quel giovanotto intraprendente fa un’eccezione. Davvero un bello scoop. La redazione romana del «Corriere» si accorge che il giovanotto ha talento e lo segnala alla “Casa Madre”. Segue l’incontro con Albertini, immediatamente e decisamente “simpatizzante”. E nasce l’inviato, anzi l’Inviato, con un destino di giramondo e di protagonista della carta stampata. Va dappertutto, Gigi. Dove si fa la storia, si dipanano mille storie umane o si rifanno le geografie a suon di guerra, lui c’è: nella Cina della rivolta dei Boxers, nell’Abissinia delle nostre prime avventure coloniali, nel Giappone guerreggiante con la Russia, nell’Argentina dell’emigrazione, negli infuocati Balcani, a Messina devastata dal terremoto, a Tripoli “bel suol d’amore”, sugli scenari della Prima Guerra Mondiale. Barzini dice di “adorare la sua casa come nessuno” e ovviamente adora anche la consorte che si chiama Mantica Pesavento ed è un’ex attrice costretta dal macho conservatore a dir no alla carriera, per trasformarsi in mogliettina esemplare. Lei però, scalpita, richiama lo sposo riottoso alle responsabilità domestiche, gli sbatte in faccia la nota della spesa, ha ambizioni letterarie, vuole che lui le faccia conoscere D’Annunzio. E Gigi, geloso, ribatte: giammai! Perché, si è detto, l’adora, ed è geloso, così come adora la copiosa figliolanza. Ma il vero amore è il «Corriere». Un po’ despota Albertini lo è ma Gigi china il capo obbediente. Contentissimo, comunque, quando il capo lo gratifica di sperticati elogi. Meritati. Perché il nostro ha inventato un stile (semplice, diretto, rapido, logico, privo di artifici, antiretorico, eppure, o proprio per questo, elegante e fascinoso) che ha fatto spuntar come funghi i barziniani, così come D’Annunzio ha partorito i dannunziani. E poi Gigi è sempre pronto a vivere avventure all’insegna della “modernità”, come quel celeberrimo raid Pechino-Parigi in autombile, che ha una “ricaduta” d’immagine sia sul «Corriere» sia sull’industria delle quattro ruote “lanciate verso il mondo”.Barzini “è” il suo giornale e lo dichiara: “Io appartengo al «Corriere» più che a me stesso; per esso non c’è cosa che io non possa fare o che non faccia”.Ma “venture e sventure” segnano i grandi guerrieri, anche quelli del secolo XX, e i due Luigi si ritroveranno fuori dal loro augusto quotidiano. Albertini per dichiarato antifascismo; Barzini perché attratto dalla prospettiva di un «Corriere» fatto in America per la mussoliniana Little Italy. Tante speranze, ma “dura minga”. Segue ritorno alla patria. Ingrata? No: Gigi collabora al «Popolo d’Italia», dirige «Il Mattino» di Napoli dal ‘32 al ‘33, è nominato senatore. Etuttavia, per lui, “senior”, non c’è più posto al «Corriere», dove lavora invece Luigi “junior”, che negli anni a venire passerà qualche guaio come antifascista. Mentre l’Inviato per eccellenza sarà fedele al Duce, Salò compresa. Nel dopoguerra, l’ostracismo e l’oblio, a parte un salvagente lanciato da Angelo Rizzoli che apre «Oggi» alle memorie dell’Inviato. Ma al suo funerale, nel ‘47, non ci sarà quasi nessuno.
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Il Borghese
Autore: Mario Bernardi Guardi