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Gabriella Sobrino, romana, poetessa e traduttrice di poeti e di romanzieri, per quarant’anni segretaria letteraria, anima instancabile e memoria storica del premio Viareggio, ricorda: «Tanti episodi. La teatrale caparbietà

Il libro di Gabriella Sobrino e Francesca Romana de’ AngelisGabriella Sobrino, romana, poetessa e traduttrice di poeti e di romanzieri, per quarant’anni segretaria letteraria, anima instancabile e memoria storica del premio Viareggio, ricorda: «Tanti episodi. La teatrale caparbietà di Ungaretti che ad occhi socchiusi era capace di declamare tutta l’opera di un autore in cui credeva, senza che nessuno potesse fermarlo (ma goloso anche del “divin caciucco” e appassionato di Mina, che una sera alla Bussola scese dalla pedana, lo abbracciò e lo convinse a recitare i suoi versi); l’oratoria straripante di Zavattini che riusciva sempre a convincere qualche giurato; lo scrupolo con cui Giacomo Debenedetti leggeva e rileggeva i libri; i silenzi ostinati di Montale, l’eleganza di parole e di modi di Buzzati; la fedeltà di Franco Antonicelli, il primo ad arrivare a Viareggio e l’ultimo a ripartire». In una giornata di fine febbraio, sotto nuvole scure dalle quali cala un vento che porta odore di salsedine e scuote le palme, Gabriella Sobrino conversa al Caffè Margherita, davanti a una tazza di thè, con l’amica Francesca Romana de’ Angelis, storica della letteratura italiana e autrice di un romanzo su Torquato Tasso. Contemplano la statua di Giacomo Puccini alla quale qualche spirito allegro ha fatto indossare una sciarpa di lana bianca. Riprendono la passeggiata sul lungomare e, subito, nasce l’idea di un libro che racconti gli «anni meravigliosi» di un premio che tanta parte ha avuto nella cultura del Novecento. Ora l’editore Mauro Pagliai di Firenze manda in libreria a due firme, la voce narrante della Sobrino e la vivida scrittura della de’ Angelis, le «Storie del Premio Viareggio»: escono dagli archivi verbali, dialoghi, corrispondenze, telegrammi e fotografie, che ricostruiscono i segreti delle votazioni, gli aneddoti e le curiosità, le attese e le delusioni, i capricci e i litigi, le amicizie e le rivalità, le manovre e le pressioni del mondo editoriale.«Gabriella Sobrino», precisa Francesca de’ Angelis, «ha conosciuto nel 1956 Leonida Rèpaci, il fondatore del Viareggio, e sua moglie Albertina Antonielli, scrittrice, poetessa, musicista, che le aveva chiesto di darle lezioni d’inglese. Allora la coppia abitava in via del Babuino. Il Premio era stato fondato da Rèpaci nel 1929, lo stesso anno delle sue nozze, ma nella prima edizione non fu assegnato. Dopo gli anni oscuri del fascismo, Rèpaci lo aveva fatto rinascere nel ’46 come Venere dalla spuma del mare; ma nel ’63 si era scatenata una tempesta, non l’unica nella storia di una manifestazione che è stata sempre indipendente, contrastata ma fedele agli umori profondi della città. Una parte della giuria sosteneva “Le furie” di Guido Piovene ma altri, soprattutto Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, riuscirono a imporre i “Racconti” di Antonio Delfini, contro un regolamento che ammetteva come vincitori solo gli autori viventi. Rèpaci telefonò a Gabriella, che si trovava a Londra per preparare un corso d’italiano all’Università di Coventry, e la convinse a tornare per assumere l’incarico di sua diretta collaboratrice nel Viareggio».Fu quello l’inizio di un’avventura straordinaria. Gabriella Sobrino ricorda la sua prima riunione in un«parterre de rois» di personaggi illustri, nella nuova casa dei Rèpaci a via Lima ai Parioli: «Quando per la prima volta toccò a me prendere la parola, l’emozione quasi mi tolse la voce e Dino Buzzati, seduto al mio fianco, mi strinse il braccio per darmi coraggio».
Dopo la morte di Rèpaci nel luglio 1985, Gabriella Sobrino è rimasta il punto di riferimento del Premio accanto ad altri prestigiosi presidenti, come Natalino Sapegno, che dal 1986 al 1990 portò in quella «missione» mitezza, pazienza e il suo rigore di valdostano, e Cesare Gàrboli, viareggino di nascita e cittadino della cultura internazionale, che restituì il Premio alle sue radici e ai suoi splendori dal ’96 al 2004, l’anno della morte.
Data recensione: 26/04/2008
Testata Giornalistica: Il Corriere della Sera
Autore: Pietro Lanzara