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Sassolini, bocconi, rospi. Ogni premio letterario ha i suoi. E Gabriella Sobrino, nei quarant’anni in cui è stata segretaria del Viareggio-Rèpaci, ne ha visti tanti. Tolti o meno dalla scarpa, digeriti alla meno peggio, sputati

In un libro tutte le polemiche tenute nascoste per 40 anniSassolini, bocconi, rospi. Ogni premio letterario ha i suoi. E Gabriella Sobrino, nei quarant’anni in cui è stata segretaria del Viareggio-Rèpaci, ne ha visti tanti. Tolti o meno dalla scarpa, digeriti alla meno peggio, sputati con rabbia o ingoiati con rassegnazione.Lei, signora romana, innamorata della Versilia, ha custodito con gelosa discrezione ogni polemica, ogni litigata, ogni pettegolezzo, ed è anche merito suo se il premio Viareggio è stato, tra i premi letterari maggiori, il più sobrio, il più rigoroso. Ma ora Gabriella Sobrino ha deciso di pubblicare le “Storie del premio Viareggio”, raccolte in un libro edito da Mauro Pagliai e presentato ieri al Principe di Piemonte. E ne racconta un bel po’.Ad esempio, di quando Pasolini e Moravia, contro il presidente Rèpaci, con un colpo di mano riuscirono a far vincere Antonio Delfini provocando le dimissioni di Olivetti e poi di mezza giuria, col risultato di essere poi estromessi dallo stesso Rèpaci. O quando il presidente Rosario Villari accusò il Comune di ingerenza nelle scelte del premio provocando uno sconquasso. E ancora, il garbato rifiuto della Morante e quello arrogante di Moravia, i forti dissapori tra Garboli e Giovanni Raboni che si dimise per la seconda volta affermando che il Viareggio era gestito in modo personalistico, quando la prima volta aveva dovuto dimettersi perché accusato di essersi comportato scorrettamente nell’assegnazione del premio poesia Opera Prima alla sua protetta Patrizia Valduga.E poi lo scontro furibondo sul premio Internazionale del 1967, che vedeva sfidarsi Sartre e Neruda, con Rèpaci e una parte della giuria che non vollero premiare Sartre per non rischiare che rifiutasse il Viareggio visto che aveva già rifiutato il Nobel, è un’altra parte della giuria, capeggiata da Zevi, che definì Neruda un cattivo poeta consacrato all’Unione Sovietica. Ma ecco, tratti dal libro, alcuni dei momenti più caldi della storia del premio, dopo i terribili anni del fascismo e la sospensione per la guerra, quando toccò ancora a Rèpaci riportare in vita la sua «creatura sparita in quella notte profonda», e lo fece con la determinazione e l’entusiasmo da “spaccaporte di ferro” come lo chiamava Lorenzo Viani. Viareggio 1968. Nella narrativa, per un solo voto, vinse Calvino su Bigiaretti con il libro “Ti con zero” edito da Einaudi. Capofila dei sostenitori di Calvino era Goffredo Parise. Alla Sobrino, quel libro non piaceva: “mi sembrava impossibile che l’autore di quelle pagine fosse lo stesso che aveva scritto Il sentiero dei nidi di ragno”. Ma il colpo di scena arrivò il venerdì prima della premiazione: con un telegramma, Calvino rifiutò il Viareggio. Scrisse, laconico, che riteneva conclusa la stagione dei premi letterari. Si raccomandò di non diffondere alla stampa il suo nome come vincitore. Ma ormai i giornali erano usciti.A frittata fatta, Rèpaci e la giuria reagirono con estrema durezza, anche perché Calvino aveva già ritirato un premio ad Asti: “Ha mortificato il Viareggio, offeso la giuria e gli altri scrittori”, disse Rèpaci. E Parise, ancor più duro: «Tutto fa pensare a un rifiuto premeditato. Non si concorre a un premio se non si vuole vincerlo, altrimenti vuol dire che c’è qualcosa di torbido. Calvino non è uno scrittore, ma solo un letterato. Questi gesti sono cose da letterati e i letterati non hanno un destino storico».La storia non gli ha dato ragione, ma quell’anno il Viareggio andò a Libero Bigiaretti, con una votazione a notte fonda che registrò l’unanimità che Calvino non aveva avuto. Fu la Sobrino a scoprire le vere ragioni di quel gesto. Incontrò Calvino anni dopo, gli chiese perché, e si sentì rispondere: «Fu Giulio Einaudi che volle così. Eravamo nel ’68, nel pieno della protesta studentesca e quel rifiuto fu una sorta di maggio dell’editore». Viareggio 1991. Fu l’anno del grande litigio tra il giurato Garboli e il presidente Rosario Villari. Garboli arrivò alla riunione per decidere il vincitore della saggistica e rivelò che uno dei finalisti gli aveva telefonato per sollecitare il suo appoggio, mostrando di conoscere con precisione il numero di voti che ciascuno aveva ottenuto nelle precedenti riunioni della giuria. Rivolgendosi a Villari, con una voce che tradiva autentico sdegno, gli chiese: «Vorrei sapere se questo è lecito». Il presidente replicò che forse quel finalista non aveva detto la verità. Ma a sorpresa uno dei giurati prese la parola e disse di essere stato lui a comunicare a quel finalista il numero dei voti fino allora ottenuti. La Sobrino non dice chi fu, ma racconta che motivò il suo assurdo gesto con l’amicizia che lo legava al candidato. E tra Villari che voleva cancellare i verbali dell’assemblea e la Sobrino che si rifiutò, la discussione sui possibili vincitori si fece infuocata e volarono parole grosse. Vinse Grazia Livi col bellissimo “Le lettere del mio nome”. Ma dopo l’annuncio della vittoria, Garboli e Pampaloni si dimisero, e Cancogni fu estromesso.Villari, si capisce, è stato il presidente più inviso alla Sobrino. Già nel 1996, voleva sostituirla alla segreteria. Comunicò senza remore al Comune la sua decisione di estromettere la Sobrino e chiamare in giuria Antonio Tabucchi: la manovra apparve un pretesto per buttare fuori la Sobrino anche dalla giuria. Ne uscì una ridda di polemiche infinite che ipotizzavano duelli mai avvenuti fra la Sobrino e Tabucchi, mentre quelli veri furono tra Villari e il Comune, che non appoggiò le sue decisioni costringendolo a dimettersi. E con lui tutti i giurati. A niente valsero i tentativi di ricucire lo strappo. Finì che la Sobrino rimase al suo posto, contattò Garboli che divenne il nuovo presidente e nominò una giuria di grande qualità, inaugurando quell’era garboliana che ha marchiato il premio come solo Rèpaci aveva saputo fare. Fu la rinascita del Viareggio.
Alcuni dei membri nominati allora, passando attraverso tutte le tempeste, sono ancora in giuria: in testa Grazia Livi, e Rosanna Bettarini, che è diventata la presidente di Garboli e la breve parentesi di Siciliano.
Data recensione: 24/02/2008
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: David Fiesoli