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Per impedire che la gente di Palmi, durante una processione religiosa del 1925, fosse costretta a cantare Giovinezza, Leonida Rèpaci insieme ad altri compagni si scontrò con un gruppo di fascisti che per errore

Spaccato della vita intellettuale italiana attraverso il racconto degli ultimi 40 anni del più autorevole premio letterario nazionale Per impedire che la gente di Palmi, durante una processione religiosa del 1925, fosse costretta a cantare Giovinezza, Leonida Rèpaci insieme ad altri compagni si scontrò con un gruppo di fascisti che per errore uccisero uno di loro. Mandato in carcere con l’incriminazione di omicidio, vi rimase sette mesi, prima di essere prosciolto da quell’ingiusta accusa. Uscì appena in tempo per abbracciare la madre morente e prometterle che avrebbe lasciato l’attività politica. La promessa fu mantenuta. Ma l’impegno contro l’oppressione fascista non venne meno e quattro anni più tardi trovò un insolito sfogo, d’estate, sulla spiaggia di Viareggio. Era il 1929 quando Rèpaci, insieme agli amici Carlo Salsa e Alberto Colantuoni e alla moglie Albertina, discutendo del premio Bagutta, nato tre anni prima al chiuso di un ristorante milanese, decisero di far nascere un premio letterario en plein air, proprio su quella spiaggia, con le Apuane alle spalle, e negli occhi l’azzurro abbagliante del cielo che baciava il mare. Per Rèpaci la suggestione del paesaggio versiliese avrebbe dovuto tradursi nello slancio dello spirito libertario e accogliere gli autori, gli uomini, che attraverso la letteratura cercavano con coraggio di affrancarsi dal regime fascista. Decisero di mettersi subito all’opera per dar vita proprio quell’anno alla prima edizione del premio, ma non riuscirono a mettere insieme i soldi per il montepremi e perciò dovettero desistere dall’impresa. Poco male. Quello che sarebbe diventato il premio letterario italiano più prestigioso era comunque concepito, e un anno più tardi, la sorte nei panni di una fortunata ostetrica lo avrebbe affidato alle braccia del padre più tenace, Leonida Rèpaci, per tenerlo a battesimo domenica 10 agosto 1930 all’hotel Royal, con la sua prima assegnazione ex-aequo ai pittori-scrittori Lorenzo Viani e Anselmo Bucci. Il sapore salmastro, en plein air, si mescola con un un’aura epica, nel racconto degli inizi del Premio ricostruiti da Gabriella Sobrino nel suo bel libro sulla storia del Viareggio (Storie del Premio Viareggio, di Gabriella Sobrino e Francesca Romana de’ Angelis per Mauro Pagliai Editore, 392 pagine, 18 euro). Lei ancora non era accanto al «pasionario della letteratura», quandolui si lanciava insieme alla moglie Albertina in quella grandiosa avventura culturale che avrebbero considerato e definito “il loro figlio”. Leonida l’avrebbe chiamata una trentina di anni dopo, nel 1964, per aiutarlo nei panni di segretaria. Traduttrice e poetessa ancora celata, accettò con riluttanza la proposta dei coniugi Rèpaci, timorosa dell’eccessiva responsabilità di quel ruolo così delicato. Preavvertì però che lo avrebbe fatto pro tempore,un anno soltanto. Nel ringraziarla e salutarla, sulla porta Leonida le disse con tono sibillino, «non lascerai più il Viareggio». E così fu. Dopo quella sua prima lontana edizione, nel 1964, Gabriella Sobrino rimarrà legata al Viareggio fino al 2004, divenendone una delle colonne portanti. Quarant’anni precisi, trascorsi a organizzare, sostenere e animare il Premio, attraverso ben cinque presidenze diverse. Da quella del “padre” del Viareggio, Rèpaci, il fondatore e il grande timoniere, che ha tenuto la barra fino all’anno della sua morte nel 1985, dopo ben 56 edizioni. Poi Sapegno, Villari, Garboli e Siciliano. Attenta e meticolosa, Gabriella Sobrino ha registrato con cura, anno per anno, tutti i passaggi del premio. Le riunioni animate della giuria, le discussioni sui libri, i soventi contrasti, a volte anche laceranti fino alla rottura; le posizioni dei singoli giurati per difendere un’opera o un autore che diventano per l’autrice l’appiglio per raccontare in dettaglio ciascun personaggio di quel parterre de roi della letteratura italiana che ogni estate si riuniva a Viareggio per eleggere il miglior libro dell’anno. Gabriella Sobrino non manca di raccontare anche i vincitori, il loro modo di essere, colto attraverso il libro premiato, ma anche intuito con fine sensibilità nel loro discorso di ringraziamento e nel loro gioire o schermirsi. Ne emerge una variegata galleria di volti, personaggi e vicende che abbraccia gli ultimi quarant’anni di storia delle letteratura italiana,ma anche dell’intero paese, segnato in questo periodo da eventi tragici che inevitabilmente hanno disteso la propria cappa di inquietudini e angosce anche sul Premio. In questa ricostruzione, passando in rassegna edizione dopo edizione, l’autrice con totale onestà e correttezza sceglie di non omettere il racconto delle ombre del Premio, della sua giuria e del mondo letterario che ha incrociato in quarant’anni del Viareggio. E dal suo osservatorio illumina con luce nuova scrittori e personalità della cultura italiana, rifiuti clamorosi, polemiche e manovre, tattiche e furbizie del mondo della cultura. Si scoprono così le pagine nere, le storture, i personalismi, la presunzione e la sfrontatezza di insospettabili figure. Memorabile per arroganza il rifiuto di Fellini, che informato dall’amico Rèpaci della volontà della giuria di premiarlo, lo rigettò con massimo sprezzo,dopo averlo desiderato in passato, perché ormai quel premio non aggiungeva niente ad una carriera ampiamente celebrata. Colpisce scoprire che anche Calvino si rese protagonista di uno strano diniego che lasciò esterrefatta tutta la giura per i modi in cui avvenne e per la natura mite del personaggio; salvo poi apprendere come lo scrittore fosse stato manovrato dal suo editore, che cercava in questo modo di ottenere una dubbia pubblicità a spese del Viareggio. Rimangono però piccole brutture al confronto della grande statura culturale e morale del Premio che brilla per limpidezza, per l’impegno indefesso del suo primo presidente e per l’amore autentico per la letteratura che ha saputo infondere, coltivare e ritrovare nelle personalità premiate. Leggere questo libro che lo racconta è come rivivere quell’atmosfera, quello spirito. È conoscere da vicino i grandi personaggi che hanno fatto la cultura del nostro paese e ci hanno donato con impegno ed ingegno le pagine più belle della letteratura italiana.
Data recensione: 11/03/2008
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti