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Quale responsabilità ha la comunicazione quando si rivolge – come nel suo caso – ad un pubblico molto ampio?
Molta, perché le informazioni che si danno diventano parte della conoscenza di tante persone. L’informazione deve essere corretta, controllata, equilibrata perché si rischia di fare solo confusione. E di confusione ce n’è già tanta ed è questo il tema principale che affronto nel mio libro. Non c’è solo il problema di cosa ma anche come si comunica. Faccio l’esempio delle previsioni del tempo: una cosa è dire “ci sarà l’abbassamento delle temperature”, un’altra “freddo polare in arrivo dalla Siberia”. In questo caso si crea maggiore attenzione ma anche ansia e allarme. Con che spirito si esce di casa, con la notizia che ci sarà un tempo da lupi? Di fronte ai tanti mezzi di comunicazione e alle tante informazioni che ci piovono addosso occorre essere attenti e critici. E, da parte di chi informa, essere chiari e trasparenti, fornire elementi di valutazione e non esagerare nei toni forti per attirare l’attenzione.
La comunicazione può indurre dei comportamenti virtuosi, e come può riuscirci?
L’intento pedagogico, se troppo accentuato, finisce per nuocere alla comunicazione, proprio perché invece di avvicinare aumenta la distanza fra gli interlocutori: da una parte c’è chi si mette su un pulpito ad insegnare, dall’altra ci dovrebbe essere chi impara. Questo schema non funziona. Abbiamo di fronte un pubblico maturo, in grado di fare le proprie valutazioni e non di seguire acriticamente quello che gli altri gli dicono. Con l’informazione che diamo, con le notizie e i dati di fatto, dobbiamo lavorare affinché le persone siano più informate e di conseguenza si comportino in modo adeguato alla situazione.
Secondo lei qual è l’atteggiamento del pubblico toscano nei confronti della società della comunicazione?
Credo che prevalga un atteggiamento polemico a priori. Se qualcuno dice una cosa, si sente subito il dovere di contraddirlo, come succede nelle discussioni al bar. Sembra ci sia una gara a dimostrarsi più furbi degli altri: “tu dici questo, ma io non abbocco!”. Questa è la facciata. Poi in pratica vedi che i risultati sono diversi. La pubblicità funziona anche da noi e alla fine tutti comprano e si comportano come tutti gli altri. In sintesi dunque registro una certa ambivalenza nei confronti della comunicazione: a parole i toscani confermano il loro spirito polemico, mentre nei fatti finiscono anche loro per conformarsi. Un po’ meno polemica, un po’ più di riflessione e si starebbe tutti meglio, o almeno più sereni.
Data recensione: 22/01/2008
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti